Tutti i giorni abbiamo a che fare con le
cariche elettriche ma, spesso, ci riduciamo a inserire una spina in una presa
da 220 volt.
Le
cariche elettriche sono governate dall’interazione elettromagnetica. Le reazioni chimiche – i cambiamenti e le
trasformazioni delle sostanze che ci circondano e avvengono sotto i nostri
occhi – sono il risultato dell’interazione
elettromagnetica tra particelle cariche. [1]
Una
biro di plastica strofinata con un panno di lana e avvicinata a dei pezzettini
di carta li attira e quasi tutti gli studenti hanno provato, almeno una volta,
questo esperimento (la biro si è caricata di elettricità statica).
Se,
di contro, strofiniamo con uno straccio di lana due pezzi di plastica o due
pezzetti di alluminio (anche quella che normalmente utilizziamo per avvolgere
gli alimenti va bene) e li avviciniamo verificheremo che tendono a respingersi.
Oggi gli studenti si servono con più efficacia di palloncini che, sempre
strofinati con un panno di lana, si attaccano ai vestiti o sulle pareti mentre,
se accostati, si respingono.
Ma
due esperimenti sono sicuramente più appariscenti. Un palloncino caricato di elettricità
statica riesce a far produrre ad una lampada al neon (non collegata a nessun
impianto) delle scariche, dei lampi di luce, come se il neon si accendesse per
una frazione di secondo (per poter osservare il fenomeno l’esperimento deve
essere eseguito al buio o in penombra). Un sottile flusso di acqua che esce da
un rubinetto o da un piccolo buco praticato in un bicchiere di plastica usa e
getta può invece essere deviato in modo visibile nel suo percorso se
avviciniamo ad esse una biro precedentemente strofinata con la solita lana.
Tali
fenomeni sono comunque tutti di debole intensità e, di contro, un bel trapano a
batterie o, ancor meglio, alimentato a 220 volt,
ci fa intuire la forza della carica elettrica che, però, in questo modo, non riusciamo
a confrontare con quella gravitazionale che è… più naturale. Se poi dobbiamo
fare riferimento ad una forza repulsiva la situazione certo non migliora.
La
forza gravitazionale ci appare più semplice e il concetto di peso ci rende bene
l’idea. Per spostare 30 kg è
necessario fare un certo sforzo e,
per spostarne 60, sarà necessario il doppio della forza. L’esperienza ci
insegna che senza l’ausilio di macchinari e in presenza di un forte attrito non
riusciremo a spostare, in modo agevole, cioè con movimento lineare e con una
certa velocità, un peso superiore a quello del nostro corpo. Ecco, quello che
ci aiuta veramente è il fatto che, per la forza di gravità, nel nostro quotidiano,
riusciamo spesso a prevederne l’effetto
senza utilizzare calcolatrici. Anche l’energia cinetica è facilmente
comprensibile.
Cosa
sappiamo invece a riguardo delle cariche elettriche? Certo, a scuola ci hanno
insegnato che la corrente elettrica è un flusso di elettroni che si muove lungo
un filo (spesso di rame) oppure ricordiamo gli esperimenti fatti con le pile a
basso voltaggio. Un flusso di elettroni passa da un polo all’altro generando
corrente elettrica che può essere convenientemente sfruttata in attrezzature
per compiere lavoro ma anche utilizzata per alimentare la lampadina di una
torcia. È questa una tipica trasformazione di energia chimica (reazioni di
ossidoriduzione) in energia elettrica. Sappiamo anche che se sfreghiamo due
fili di rame collegati ai due poli opposti di una pila produrremo delle piccole
scintille (meglio evitare altri esperimenti come farsi il caffè con una moka
utilizzando dei cavi collegati ad una batteria per autovettura); abbiamo anche
provato la brutta sensazione di una scossa nel tentativo di riparare una presa di
corrente a 220 volt (o infilandoci accidentalmente
le dita); diversamente abbiamo appositamente cercato il brivido di una piccola scossa
andando a toccare simultaneamente con la lingua i due poli di una pila a 9 volt. Sappiamo anche che le cariche elettriche
di segno opposto si attraggono al contrario di cariche dello stesso segno che si
respingono.
Ma
come sentire questa attrazione o questa
repulsione?
Un
metodo non proprio ortodosso ma efficace è quello di lasciarsi aiutare dalle
cariche magnetiche. Anche nel magnetismo le cariche opposte, il polo Nord e Sud,
si attraggono mentre poli dello stesso segno si respingono.
Chi,
da bambino, non ha mai smontato una dinamo della bicicletta per avere una
calamita? La curiosità di vedere come era fatta questa dinamo che trasformava
l’energia delle nostre pedalate in corrente – oppure anche solo per legare la
calamita ad un filo e cercare di recuperare le monete cadute nelle griglie – ci
ha spinto in questa nostra iniziativa da meccanico apprendista. Poi abbiamo
verificato che due calamite si attraevano ma, invertendo il polo di una di esse
tendevano a respingersi attaccandosi, al più, di lato.
Qualche studente più volenteroso ha osato
di più. Se adagiamo (dalla parte piatta) una calamita sul fondo di un cilindro
di vetro o di plastica graduato – con un diametro di solo di qualche millimetro
più grande di quello della circonferenza della calamita – e cerchiamo di metterne
un’altra (sempre rivolta con la parte piatta) all’interno del cilindro abbiamo
due situazioni opposte possibili. Nella prima le due calamite si attrarranno con
una certa intensità fino ad arrivare ad un contatto fisico (le due calamite
sono adiacenti con poli opposti) mentre, nella seconda situazione, la calamita
rimarrà sospesa a mezz’aria (le due calamite si guardano con lo stesso polo).
Possiamo anche misurare questa forza assumendo che la forza attrattiva e
repulsiva delle calamite è simile (in realtà quella repulsiva è inferiore del
5-10%). La forza può essere misurata in modo empirico facendo attaccare alla
calamita – uno alla volta – dei pezzi di metallo a peso noto e a valore
crescente (ad esempio quelli utilizzati nelle bilance a braccia oppure pezzi di
ferro precedentemente pesati) per poi sollevarli e verificare fino a quando la
calamita si stacca da quanto solleviamo. [2]
Torniamo al nostro cilindro graduato con
le due calamite che si respingono. Quello che ci interessa è, a questo punto,
la repulsione esercitata. Se, con pezzo di plastica rigido, facciamo pressione
sulla calamita superiore questa si avvicinerà a quella sul fondo e, se la
pressione esercitata è sufficiente, arriverà a toccarla. Appena smettiamo di esercitare
la pressione la calamita superiore schizzerà verso l’alto ripristinando la
distanza originaria. Anche in questo caso possiamo verificare la forza, in kg, necessaria fino a che le calamite arrivino
a contatto. Basta fare pressione sulla calamita avendo cura di aver
precedentemente posto il cilindro graduato su una bilancia pesa-persone.
Se la pressione esercitata non sarà
sufficiente le due calamite non si toccheranno. Più in generale la legge di
conservazione dell’energia – e il comune
buon senso – ci porta ad affermare che un corpo non può superare un ostacolo se
non ha l’energia sufficiente per farlo.
Quando
prendiamo posto su un vagone del treno delle montagne russe dopo poco la
partenza una catena motorizzata risale una rampa per arrivare al punto più alto
di tutta la giostra così che i dislivelli successivi del percorso saranno
progressivamente sempre più bassi in modo da compensare la perdita di velocità che subiremo a causa
dell’attrito del treno con l’aria e delle sue ruote e le rotaie.
Similmente, quando in bicicletta raggiungiamo la fine di una salita e ci
lanciamo in discesa sappiamo che se il pendio successivo sarà della stessa
pendenza ma di livello inferiore abbiamo buone possibilità di arrivare in cima
senza fornire ulteriore energia ma, in caso contrario, dobbiamo iniziare a
pedalare per tempo….
In
assenza di attriti si usa spesso fare l’esempio di una palla lasciata scorrere
su un piano inclinato in discesa al termine del quale c’è un altro piano con
uguale inclinazione, ma in salita, così da avere una forma a tetto rovesciato.
Se la palla in discesa percorre un dislivello di 1 m risalirà, nella migliore delle ipotesi, di 1 m il secondo piano. Non accadrà mai che la palla risalga ad una
altezza di 2 m perché gli servirebbe
più energia di quella che immagazzinato.
Ancora,
un corpo che scivola in assenza di attriti su un piano parallelo al pavimento ad
una velocità di 1 m/s non riuscirà
mai a superare un dislivello più alto di 1 m.
Possiamo calcolare velocemente sia l’altezza limite alla quale il corpo si
fermerà sia la velocità della quale necessita per superare la cima. Con la
velocità di 1 m/s riuscirà a risalire un piano inclinato solo di 5,1 cm mentre, per arrivare in cima, gli
servirà una velocità di 4,43 m/s.
Possiamo provare infinite volte ma, con una velocità di 1 m/s, la palla tornerà sempre indietro.[3]
Negli
esempi citati la forza agente è quella di gravità che, nella concezione
classica del temine, è una forza di tipo attrattivo. Le cariche elettriche
dello stesso segno hanno tra loro una azione di tipo repulsivo.
Ancora ci
vengono in aiuto le calamite. Al costo di pochi euro ne possiamo acquistare
alcune del diametro di poco inferiore alla moneta di un euro e con spessore
circa doppio che esercitano tra loro una repulsione di oltre 5,5 kg mentre due calamite con un diametro
di 70 mm e un’altezza di 35 mm esercitano una repulsione di circa
125 kg: solo se un uomo esercita una forza
1,5 volte il suo peso le calamite potranno toccarsi!
Ecco, così
abbiamo un’idea della forza repulsiva.
Ora, se vogliamo avvicinare due protoni,
la forza elettromagnetica eserciterà la sua repulsione. Ma fino a che punto? E
se andiamo oltre cosa succede?
Sappiamo che, nel nucleo atomico, i
protoni sono a stretto contatto e, per di più, si legano anche con i neutroni,
che non hanno carica. Ciò significa che esiste un’altra forza – la forza forte,
che ha un raggio d’azione molto limitato – in grado di vincere la repulsione
elettromagnetica generata da particelle con la stessa carica a patto che queste
siamo molto vicine.[4]
Se, con una energia sufficiente,
spingiamo i protoni ad una distanza equivalente il diametro del protone la
forza forte supera la repulsione elettrica e si assiste al processo di fusione
nucleare. [5]
Un protone, per possedere una tale
energia cinetica, deve viaggiare ad una velocità di 1,66*107 m/s cioè due protoni che si scontrano devono avere ciascuno una velocità di circa 8,3*106. [7]
Queste velocità si può esprimere anche
come temperatura (più alta è la temperatura più è alta l’agitazione – la
velocità – delle particelle, delle molecole, degli atomi). Tale velocità
corrisponde ad una temperatura di circa 2,78*109 K se
consideriamo i protoni come un gas. [8]
In ogni caso la velocità dei nuclei di idrogeno
all’interno del Sole segue la legge delle distribuzione delle velocità di
Maxwell-Boltzmann (riferita ai gas perfetti): un andamento a forma di campana più
o meno accentuato e con la parte destra leggermente più allungata.
In
un gas ad una determinata temperatura gli atomi non hanno tutti la stessa
velocità. Ogni atomo ha un proprio moto e una propria energia cinetica. È
impossibile prevedere la velocità di ciascun atomo ad un determinato istante
mentre è possibile determinare una funzione che definisce, in modo statistico,
la distribuzione degli atomi con una certa velocità. Il maggior numero
degli atomi avrà la velocità più probabile mentre gli altri avranno una
velocità inferiore o superiore. Al crescere della temperatura corrisponde un
aumento della velocità degli atomi che si distribuiranno entro un intervallo di
velocità maggiore (la curva tenderà ad appiattirsi e la velocità media si sposterà verso la parte destra). Un
aumento della massa produrrà, di contro, una diminuzione nella velocità degli
atomi (la curva tenderà ad accentuarsi e la velocità media si sposterà verso la parte sinistra). [9]
L’idea che il Sole e le stelle siano alimentati
dai processi di fusione nucleare (A. S. Eddington, 1920) trova adeguata
spiegazione definendo il ciclo di trasformazione dell’idrogeno in elio incluse
anche le stelle più massive dove il carbonio interviene quale catalizzatore (H.
Bethe, 1938).
La temperatura superficiale del Sole è
però inferiore ai 6.000 K e anche al
suo nucleo, si arriva a 1,6*107
K mentre, per assistere al processo
di fusione tra due protoni, è necessaria una temperatura circa 1.000 volte
superiore.[10]
A rigor di logica è una situazione del tutto simile agli esempi già
evidenziati; una cosa non può accadere se non ha l’energia sufficiente per
farlo. Le reazioni nucleari non dovrebbero dunque avvenire: come fa il Sole a restare acceso?
La
spiegazione riprende la soluzione fornita per il decadimento α che coinvolge i nuclei radioattivi. La
scoperta della radioattività (W. C. Röntgen, 1895; A. H. Becquerel,1896; M.
Skłodowska – più nota come M. Curie – e P. Curie, 1898) aveva dimostrato
l’instabilità di alcuni nuclei atomici. Il meccanismo ipotizzato per il
decadimento α – processo durante il
quale un nucleo padre origina un nucleo figlio con numero atomico inferiore di
4 unità oltre all’emissione di due protoni e due neutroni, un nucleo dell’elio
denominato, appunto, particella α –
ipotizza che tale particella esista già nel nucleo padre prima del decadimento
e che sia confinata in una buca di
potenziale dalla quale esce grazie all’effetto tunnel (G. Gamow, 1928). Se un
nucleo decade ogni 1010 anni e la particella α urta 1021 volte al secondo
contro la barriera di potenziale che la tiene confinata prima di trapassarla
l’avrà urtata circa 1038 volte. [11]
Si usa spesso la similitudine di una
pallina imprigionata in cratere che non può uscire senza contributo energetico
esterno. Per uscire dal cratere la pallina non risale la parete interna dello
stesso fino alla cima per poi scivolare sulla parete esterna ma, in
considerazione del tempo di attraversamento, è come se passasse direttamente
attraverso un tunnel dalla sua
posizione interna verso l’esterno.
È sicuramente contro intuitivo il fatto
che ciò possa accadere, considerando che la particella non ha l’energia
sufficiente ma, per la meccanica quantistica, la probabilità che tale
transazione possa avvenire è definita da una espressione esponenziale
decrescente che avrà un andamento asintotico, si avvicinerà cioè sempre più al
valore dello zero senza però mai raggiungerlo: è questa una differenza
concettuale determinante rispetto alle nostra logica di fisica classica.
Quando, nelle quantità in gioco, è predominante
l’aspetto ondulatorio della materia è possibile assegnare ad ogni corpo, e
quindi alle particelle, una probabilità di attraversare spontaneamente una
barriera energetica anche se questa è più alta dell’energia disponibile.
La descrizione ondulatoria della materia
prevede cioè che un corpo, una particella, abbia sempre una probabilità, molto piccola
ma finita, di attraversare spontaneamente una barriera arbitrariamente alta
(purché non infinita); ed è proprio perché esiste un certo grado di
indeterminazione tra i vari livelli energetici ed il tempo che a livello del
microcosmo sono possibile fluttuazioni altrimenti proibite. Per un tempo
brevissimo è dunque possibile che le particelle abbiano una energia sufficiente
per superare una barriera di potenziale, diversamente insuperabile.
Cosa accade allora ai protoni del Sole? È
evidente che più alta è l’energia posseduta dai protoni più sarà agevole il
loro scontro e maggiore la
probabilità che la fusione tra di loro avvenga ma, d’altro canto, il numero di
protoni che si urtano deve essere anche
sufficiente per avere un numero di reazioni
tale per cui il processo possa essere mantenuto nel tempo.
Il picco o finestra di Gamow (G.
Gamow, 1928) è il prodotto della distribuzione di Maxwell-Boltzmann con la
probabilità di tunneling attraverso la barriera di Coulomb e definisce una curva
di energia in cui è più probabile che la reazione abbia luogo (lo stesso
meccanismo del calcolo della probabilità utilizzata per spiegare il decadimento
α). Nella zona energetica attorno a 107
K, temperatura che è possibile trovare
all’interno del Sole, pur non essendoci l’energia sufficiente, i protoni hanno
la possibilità di superare la forza di repulsione della carica elettrica.
Per i protoni presenti nel Sole è
dunque possibile l’effetto tunnel; ma ogni quanto accade? L’energia a 107
K è di circa 1.000 eV (≈
kBT) mentre è richiesta una energia di 1.000.000 eV: c’è una
differenza di un fattore 1.000!
A
questa temperatura la probabilità di fusione
tra due protoni è di 1 su 1026 collisioni, un evento estremamente
raro. Nel Sole possiamo contare però 1057 protoni[12]
che si urtano 1064 volte
ogni secondo; quindi 1064 / 1026 = 1038 protoni
che si fondono ogni secondo e il Sole…
resta acceso. [13]
[14]
Un aumento della
temperatura di qualche centinaia di migliaia di kelvin incide poco sulla probabilità di effetto tunnel che cresce
invece con il quadrato della densità dei protoni.
L’effetto tunnel è sfruttato in diverse
applicazioni tecnologiche che utilizziamo anche se lontane dalle nostre
esperienze scolastiche delle scuole superiori. [15]
È comunque possibile riprodurre l’effetto tunnel
di tipo ottico (che ricorda molto da vicino l’effetto tunnel quantistico) con
una attrezzatura reperibile in molti laboratori di elettronica.
In alcuni casi un’onda elettromagnetica che
colpisce la superficie di separazione da un mezzo più rifrangente – paraffina –
ad uno meno rifrangente – aria – può manifestare una riflessione totale. Ma se si
avvicina un altro blocco di paraffina e si lascia una intercapedine d’aria
delle dimensioni inferiori a quella della lunghezza d’onda che stiamo
osservando quest’ultima passerà dal primo al secondo blocco di paraffina. Con un emettitore di microonde a 3 cm (generate da un gunnplexer dal costo
di qualche decina di euro) è possibile verificare che l’onda viene riflessa dalla
superficie interna di un prisma di paraffina. Ma se a questo mettiamo di fronte
un altro prisma, ad una distanza di circa 1,5 cm, l’onda non subirà la rifrazione.
Possiamo anche chiederci se è possibile osservare l’effetto tunnel senza
l’ausilio di strumentazione (fosse anche un semplice tester) e se è possibile verificarlo nel macrocosmo: in altre
parole, se lanciamo una palla contro un muro, anche con una certa frequenza, perché
non accade che questa lo trapassi lasciandolo
integro?
Si deve innanzitutto sottolineare il fatto che, in ogni caso, per il
principio di indeterminazione, non è possibile osservare direttamente una
particella mentre supera una barriera di potenziale ma solo prima e dopo.
Per il principio
di indeterminazione è possibile una violazioni temporanea e non rilevabile della
conservazione dell’energia a patto di rispettare la relazione ΔE
= ħ
/Δt. Per
un tempo di circa 10-24 s
la particella α può avere l’ energia cinetica sufficiente per
superare la barriera di potenziale che la tiene unita al nucleo.
Pur essendo concettualmente possibile
ipotizzare che se lasciassimo cadere su un tavolo una palla da tennis, una
penna, un libro o qualsiasi oggetto non sarebbe impossibile che questi lo trapassi non fermandosi sulla sua
superficie dobbiamo aver ben chiaro qual è la probabilità che ciò accada. Tale
probabilità è talmente infinitesimale da essere considerata nulla. Tutte le particelle dovrebbero avere, contemporaneamente,
l’energia sufficiente perché l’effetto tunnel si verifichi. Se una massa di 10-6
kg, un milligrammo (una zanzara o un
granello di sabbia) fosse composta da solo protoni ne potremmo contare un
numero di ≈ 1021.
Ipotizzando per ogni singolo protone solo due possibilità, quella di avere e
quella di non avere l’energia sufficiente perché l’effetto tunnel avvenga,
risulta che la possibilità perché tutti i protoni abbiano contemporaneamente l’energia
richiesta è = 1/(21021) ≈ 1/10307. Giusto per avere un riferimento, possiamo indicare l’età
dell’Universo, 1017 secondi
oppure possiamo indicare le particelle presenti in esso, 1070…
[1] Diversa cosa
sono le trasformazioni fisiche che è possibile riassumere nei cambiamenti di
stato di una sostanza come la trasformazione
dell’acqua in ghiaccio o in vapore.
[2] Naturalmente
possiamo utilizzare metodi più precisi ma di più difficile realizzazione.
[3] Per poter
scalare il dislivello l’energia cinetica deve essere uguale all’energia
potenziale: ½ mv2 = mgh
con m la massa, v la velocità, g l’accelerazione
gravitazionale e h l’altezza da
superare. La palla si fermerà ad una altezza h = ½ v2/g = 0,051
m mentre per arrivare in cima sarà necessaria una velocità v = √2gh = 4,43 m/s.
[4] Come vedremo in
un apposito post dedicato alle particelle e alle forze fondamentali (il modello
standard).
[5] La fusione tra
due protoni è più complessa perché, in realtà, soltanto se al momento del contatto uno dei due protoni si
trasforma in un neutrone, con l’emissione di un positrone e un neutrino
(decadimento β), il processo può aver
luogo.
[6] La relazione che
descrive l’intensità tra due cariche elettriche è molto simile a quella
gravitazionale: k *(q1*q2)/d2
dove k è
la costante di Coulomb pari a 8,987*109Nm2C-2, q1 e q2 la carica elettrica
espressa in Coulomb, d la distanza
tra le due cariche; poiché la carica
del protone è 1,60*10-19
Coloumb la
forza risulta essere 8,987 * 109 * (1,60*10-19)* (1,60*10-19)/(10-15)2
= 230 N che, ad una distanza di 10-15 m, corrispondono a 2,3 * 10-13 J (N*m = J).
[7] L’energia
cinetica per velocità non relativistiche è E
= ½ mv2 per cui v = Ö (E /
½ m) . La massa del protone è 1,67 *10-27 kg e la velocità
necessaria sarà uguale a Ö ((2,3 *10-13 ) / (1,67 *10-27)) = 1,66 * 107 m/s. Poiché è la
velocità relativa tra due protoni che deve essere considerata di questo valore,
solo per semplicità la distribuiamo equamente tra due protoni.
[8] T = mv2/3k; v = Ö (3/2kB * T) / (½ m) con kB
costante di Boltzmann pari a 1,38*10-23 J/K, T la temperatura
espressa in kelvin, m la massa del
protone, 1,67*10-27
kg e v la sua velocità. In un gas la correlazione tra Energia cinetica e
temperatura è data dalla relazione J = (3/2)
kBT.
[9] La scala del
grafico per visualizzare contemporaneamente andamenti a differenti temperature
e/o di masse potrebbe visivamente appiattire
in modo eccessivo alcune curve.
[10] L’energia di un
protone all’interno del Sole è dell’ordine di 1 keV mentre per avvicinare due
protoni affinché si superi la repulsione colombina sono necessari 1 MeV.
[11] 1021 (urti al secondo) * 3,15*107
(secondi/anno) *
1010 (anni) = 3,15*1038 urti.
[12] Più del 99%
della massa dell’atomo è concentrata nel suo nucleo; se dividiamo la massa del
Sole (circa 2,0 * 1030 kg) per la massa del protone (1,67 * 10-27 kg) otteniamo un valore di circa 1057.