lunedì 18 dicembre 2017

L'effetto tunnel: quando l'impossibile diventa improbabile

Tutti i giorni abbiamo a che fare con le cariche elettriche ma, spesso, ci riduciamo a inserire una spina in una presa da 220 volt.
  Le cariche elettriche sono governate dall’interazione elettromagnetica. Le reazioni chimiche – i cambiamenti e le trasformazioni delle sostanze che ci circondano e avvengono sotto i nostri occhi – sono  il risultato dell’interazione elettromagnetica tra particelle cariche. [1]
  Una biro di plastica strofinata con un panno di lana e avvicinata a dei pezzettini di carta li attira e quasi tutti gli studenti hanno provato, almeno una volta, questo esperimento (la biro si è caricata di elettricità statica).
  Se, di contro, strofiniamo con uno straccio di lana due pezzi di plastica o due pezzetti di alluminio (anche quella che normalmente utilizziamo per avvolgere gli alimenti va bene) e li avviciniamo verificheremo che tendono a respingersi. Oggi gli studenti si servono con più efficacia di palloncini che, sempre strofinati con un panno di lana, si attaccano ai vestiti o sulle pareti mentre, se accostati, si respingono.
            Ma due esperimenti sono sicuramente più appariscenti. Un palloncino caricato di elettricità statica riesce a far produrre ad una lampada al neon (non collegata a nessun impianto) delle scariche, dei lampi di luce, come se il neon si accendesse per una frazione di secondo (per poter osservare il fenomeno l’esperimento deve essere eseguito al buio o in penombra). Un sottile flusso di acqua che esce da un rubinetto o da un piccolo buco praticato in un bicchiere di plastica usa e getta può invece essere deviato in modo visibile nel suo percorso se avviciniamo ad esse una biro precedentemente strofinata con la solita lana.
  


  Tali fenomeni sono comunque tutti di debole intensità e, di contro, un bel trapano a batterie o, ancor meglio, alimentato a 220 volt, ci fa intuire la forza della carica elettrica che, però, in questo modo, non riusciamo a confrontare con quella gravitazionale che è… più naturale. Se poi dobbiamo fare riferimento ad una forza repulsiva la situazione certo non migliora.
  La forza gravitazionale ci appare più semplice e il concetto di peso ci rende bene l’idea. Per spostare 30 kg è necessario fare un certo sforzo e, per spostarne 60, sarà necessario il doppio della forza. L’esperienza ci insegna che senza l’ausilio di macchinari e in presenza di un forte attrito non riusciremo a spostare, in modo agevole, cioè con movimento lineare e con una certa velocità, un peso superiore a quello del nostro corpo. Ecco, quello che ci aiuta veramente è il fatto che, per la forza di gravità, nel nostro quotidiano, riusciamo  spesso a prevederne l’effetto senza utilizzare calcolatrici. Anche l’energia cinetica è facilmente comprensibile.
  Cosa sappiamo invece a riguardo delle cariche elettriche? Certo, a scuola ci hanno insegnato che la corrente elettrica è un flusso di elettroni che si muove lungo un filo (spesso di rame) oppure ricordiamo gli esperimenti fatti con le pile a basso voltaggio. Un flusso di elettroni passa da un polo all’altro generando corrente elettrica che può essere convenientemente sfruttata in attrezzature per compiere lavoro ma anche utilizzata per alimentare la lampadina di una torcia. È questa una tipica trasformazione di energia chimica (reazioni di ossidoriduzione) in energia elettrica. Sappiamo anche che se sfreghiamo due fili di rame collegati ai due poli opposti di una pila produrremo delle piccole scintille (meglio evitare altri esperimenti come farsi il caffè con una moka utilizzando dei cavi collegati ad una batteria per autovettura); abbiamo anche provato la brutta sensazione di una scossa nel tentativo di riparare una presa di corrente a 220 volt (o infilandoci accidentalmente le dita); diversamente abbiamo appositamente cercato il brivido di una piccola scossa andando a toccare simultaneamente con la lingua i due poli di una pila a 9 volt. Sappiamo anche che le cariche elettriche di segno opposto si attraggono al contrario di cariche dello stesso segno che si respingono.
  Ma come sentire questa attrazione o questa repulsione?
  Un metodo non proprio ortodosso ma efficace è quello di lasciarsi aiutare dalle cariche magnetiche. Anche nel magnetismo le cariche opposte, il polo Nord e Sud, si attraggono mentre poli dello stesso segno si respingono.
  Chi, da bambino, non ha mai smontato una dinamo della bicicletta per avere una calamita? La curiosità di vedere come era fatta questa dinamo che trasformava l’energia delle nostre pedalate in corrente – oppure anche solo per legare la calamita ad un filo e cercare di recuperare le monete cadute nelle griglie – ci ha spinto in questa nostra iniziativa da meccanico apprendista. Poi abbiamo verificato che due calamite si attraevano ma, invertendo il polo di una di esse tendevano a respingersi attaccandosi, al più, di lato.
Qualche studente più volenteroso ha osato di più. Se adagiamo (dalla parte piatta) una calamita sul fondo di un cilindro di vetro o di plastica graduato – con un diametro di solo di qualche millimetro più grande di quello della circonferenza della calamita – e cerchiamo di metterne un’altra (sempre rivolta con la parte piatta) all’interno del cilindro abbiamo due situazioni opposte possibili. Nella prima le due calamite si attrarranno con una certa intensità fino ad arrivare ad un contatto fisico (le due calamite sono adiacenti con poli opposti) mentre, nella seconda situazione, la calamita rimarrà sospesa a mezz’aria (le due calamite si guardano con lo stesso polo). Possiamo anche misurare questa forza assumendo che la forza attrattiva e repulsiva delle calamite è simile (in realtà quella repulsiva è inferiore del 5-10%). La forza può essere misurata in modo empirico facendo attaccare alla calamita – uno alla volta – dei pezzi di metallo a peso noto e a valore crescente (ad esempio quelli utilizzati nelle bilance a braccia oppure pezzi di ferro precedentemente pesati) per poi sollevarli e verificare fino a quando la calamita si stacca da quanto solleviamo. [2]
Torniamo al nostro cilindro graduato con le due calamite che si respingono. Quello che ci interessa è, a questo punto, la repulsione esercitata. Se, con pezzo di plastica rigido, facciamo pressione sulla calamita superiore questa si avvicinerà a quella sul fondo e, se la pressione esercitata è sufficiente, arriverà a toccarla. Appena smettiamo di esercitare la pressione la calamita superiore schizzerà verso l’alto ripristinando la distanza originaria. Anche in questo caso possiamo verificare la forza, in kg, necessaria fino a che le calamite arrivino a contatto. Basta fare pressione sulla calamita avendo cura di aver precedentemente posto il cilindro graduato su una bilancia pesa-persone.
  

    Se la pressione esercitata non sarà sufficiente le due calamite non si toccheranno. Più in generale la legge di conservazione dell’energia – e il  comune buon senso – ci porta ad affermare che un corpo non può superare un ostacolo se non ha l’energia sufficiente per farlo.
  Quando prendiamo posto su un vagone del treno delle montagne russe dopo poco la partenza una catena motorizzata risale una rampa per arrivare al punto più alto di tutta la giostra così che i dislivelli successivi del percorso saranno progressivamente sempre più bassi in modo da compensare la perdita di velocità che subiremo a causa dell’attrito del treno con l’aria e delle sue ruote e le rotaie. Similmente, quando in bicicletta raggiungiamo la fine di una salita e ci lanciamo in discesa sappiamo che se il pendio successivo sarà della stessa pendenza ma di livello inferiore abbiamo buone possibilità di arrivare in cima senza fornire ulteriore energia ma, in caso contrario, dobbiamo iniziare a pedalare per tempo….
  In assenza di attriti si usa spesso fare l’esempio di una palla lasciata scorrere su un piano inclinato in discesa al termine del quale c’è un altro piano con uguale inclinazione, ma in salita, così da avere una forma a tetto rovesciato. Se la palla in discesa percorre un dislivello di 1 m risalirà, nella migliore delle ipotesi, di 1 m il secondo piano. Non accadrà mai che la palla risalga ad una altezza di 2 m perché gli servirebbe più energia di quella che immagazzinato.
  Ancora, un corpo che scivola in assenza di attriti su un piano parallelo al pavimento ad una velocità di 1 m/s non riuscirà mai a superare un dislivello più alto di 1 m. Possiamo calcolare velocemente sia l’altezza limite alla quale il corpo si fermerà sia la velocità della quale necessita per superare la cima. Con la velocità di 1 m/s riuscirà a risalire un piano inclinato solo di 5,1 cm mentre, per arrivare in cima, gli servirà una velocità di 4,43 m/s. Possiamo provare infinite volte ma, con una velocità di 1 m/s, la palla tornerà sempre indietro.[3] 
Negli esempi citati la forza agente è quella di gravità che, nella concezione classica del temine, è una forza di tipo attrattivo. Le cariche elettriche dello stesso segno hanno tra loro una azione di tipo repulsivo.
Ancora ci vengono in aiuto le calamite. Al costo di pochi euro ne possiamo acquistare alcune del diametro di poco inferiore alla moneta di un euro e con spessore circa doppio che esercitano tra loro una repulsione di oltre 5,5 kg mentre due calamite con un diametro di 70 mm e un’altezza di 35 mm esercitano una repulsione di circa 125 kg: solo se un uomo esercita una forza 1,5 volte il suo peso le calamite potranno toccarsi!
Ecco, così abbiamo un’idea della forza repulsiva.


Ora, se vogliamo avvicinare due protoni, la forza elettromagnetica eserciterà la sua repulsione. Ma fino a che punto? E se andiamo oltre cosa succede?
Sappiamo che, nel nucleo atomico, i protoni sono a stretto contatto e, per di più, si legano anche con i neutroni, che non hanno carica. Ciò significa che esiste un’altra forza – la forza forte, che ha un raggio d’azione molto limitato – in grado di vincere la repulsione elettromagnetica generata da particelle con la stessa carica a patto che queste siamo molto vicine.[4]
Se, con una energia sufficiente, spingiamo i protoni ad una distanza equivalente il diametro del protone la forza forte supera la repulsione elettrica e si assiste al processo di fusione nucleare. [5]



La repulsione elettrica tra due protoni ad una distanza di 10-15 m è di 2,3*10-13 J. [6] 
Un protone, per possedere una tale energia cinetica, deve viaggiare ad una velocità di 1,66*107 m/s cioè due protoni che si scontrano devono avere ciascuno una velocità di circa 8,3*106. [7]
Queste velocità si può esprimere anche come temperatura (più alta è la temperatura più è alta l’agitazione – la velocità – delle particelle, delle molecole, degli atomi). Tale velocità corrisponde ad una temperatura di circa 2,78*109 K se consideriamo i protoni come un gas. [8]


 In ogni caso la velocità dei nuclei di idrogeno all’interno del Sole segue la legge delle distribuzione delle velocità di Maxwell-Boltzmann (riferita ai gas perfetti): un andamento a forma di campana più o meno accentuato e con la parte destra leggermente più allungata.


   In un gas ad una determinata temperatura gli atomi non hanno tutti la stessa velocità. Ogni atomo ha un proprio moto e una propria energia cinetica. È impossibile prevedere la velocità di ciascun atomo ad un determinato istante mentre è possibile determinare una funzione che definisce, in modo statistico, la distribuzione degli atomi con una certa velocità. Il maggior numero degli atomi avrà la velocità più probabile mentre gli altri avranno una velocità inferiore o superiore. Al crescere della temperatura corrisponde un aumento della velocità degli atomi che si distribuiranno entro un intervallo di velocità maggiore (la curva tenderà ad appiattirsi e la velocità media si sposterà verso la parte destra). Un aumento della massa produrrà, di contro, una diminuzione nella velocità degli atomi (la curva tenderà ad accentuarsi e la velocità media si sposterà verso la parte sinistra). [9]
L’idea che il Sole e le stelle siano alimentati dai processi di fusione nucleare (A. S. Eddington, 1920) trova adeguata spiegazione definendo il ciclo di trasformazione dell’idrogeno in elio incluse anche le stelle più massive dove il carbonio interviene quale catalizzatore (H. Bethe, 1938).
La temperatura superficiale del Sole è però inferiore ai 6.000 K e anche al suo nucleo, si arriva a 1,6*107 K mentre, per assistere al processo di fusione tra due protoni, è necessaria una temperatura circa 1.000 volte superiore.[10] A rigor di logica è una situazione del tutto simile agli esempi già evidenziati; una cosa non può accadere se non ha l’energia sufficiente per farlo. Le reazioni nucleari non dovrebbero dunque avvenire: come fa il Sole a restare acceso?

  La spiegazione riprende la soluzione fornita per il decadimento α che coinvolge i nuclei radioattivi. La scoperta della radioattività (W. C. Röntgen, 1895; A. H. Becquerel,1896; M. Skłodowska – più nota come M. Curie – e P. Curie, 1898) aveva dimostrato l’instabilità di alcuni nuclei atomici. Il meccanismo ipotizzato per il decadimento α – processo durante il quale un nucleo padre origina un nucleo figlio con numero atomico inferiore di 4 unità oltre all’emissione di due protoni e due neutroni, un nucleo dell’elio denominato, appunto, particella α – ipotizza che tale particella esista già nel nucleo padre prima del decadimento e che sia  confinata in una buca di potenziale dalla quale esce grazie all’effetto tunnel (G. Gamow, 1928). Se un nucleo decade ogni 1010 anni e la particella α urta 1021 volte al secondo contro la barriera di potenziale che la tiene confinata prima di trapassarla l’avrà urtata circa 1038 volte. [11]

Si usa spesso la similitudine di una pallina imprigionata in cratere che non può uscire senza contributo energetico esterno. Per uscire dal cratere la pallina non risale la parete interna dello stesso fino alla cima per poi scivolare sulla parete esterna ma, in considerazione del tempo di attraversamento, è come se passasse direttamente attraverso un tunnel dalla sua posizione interna verso l’esterno.
È sicuramente contro intuitivo il fatto che ciò possa accadere, considerando che la particella non ha l’energia sufficiente ma, per la meccanica quantistica, la probabilità che tale transazione possa avvenire è definita da una espressione esponenziale decrescente che avrà un andamento asintotico, si avvicinerà cioè sempre più al valore dello zero senza però mai raggiungerlo: è questa una differenza concettuale determinante rispetto alle nostra logica di fisica classica.
  


Quando, nelle quantità in gioco, è predominante l’aspetto ondulatorio della materia è possibile assegnare ad ogni corpo, e quindi alle particelle, una probabilità di attraversare spontaneamente una barriera energetica anche se questa è più alta dell’energia disponibile.
La descrizione ondulatoria della materia prevede cioè che un corpo, una particella, abbia sempre una probabilità, molto piccola ma finita, di attraversare spontaneamente una barriera arbitrariamente alta (purché non infinita); ed è proprio perché esiste un certo grado di indeterminazione tra i vari livelli energetici ed il tempo che a livello del microcosmo sono possibile fluttuazioni altrimenti proibite. Per un tempo brevissimo è dunque possibile che le particelle abbiano una energia sufficiente per superare una barriera di potenziale, diversamente insuperabile.
Cosa accade allora ai protoni del Sole? È evidente che più alta è l’energia posseduta dai protoni più sarà agevole il loro scontro e maggiore la probabilità che la fusione tra di loro avvenga ma, d’altro canto, il numero di protoni che si urtano deve essere anche sufficiente per avere un numero di reazioni tale per cui il processo possa essere mantenuto nel tempo.

   Il picco o finestra di Gamow (G. Gamow, 1928) è il prodotto della distribuzione di Maxwell-Boltzmann con la probabilità di tunneling attraverso la barriera di Coulomb e definisce una curva di energia in cui è più probabile che la reazione abbia luogo (lo stesso meccanismo del calcolo della probabilità utilizzata per spiegare il decadimento α). Nella zona energetica attorno a 107 K,  temperatura che è possibile trovare all’interno del Sole, pur non essendoci l’energia sufficiente, i protoni hanno la possibilità di superare la forza di repulsione della carica elettrica.

  


Per i protoni presenti nel Sole è dunque possibile l’effetto tunnel; ma ogni quanto accade? L’energia a 107 K è di circa 1.000 eV ( kBT) mentre è richiesta una energia di 1.000.000 eV: c’è una differenza di un fattore 1.000!
A questa temperatura la probabilità di fusione tra due protoni è di 1 su 1026 collisioni, un evento estremamente raro. Nel Sole possiamo contare però 1057 protoni[12] che si urtano 1064 volte ogni secondo; quindi 1064 / 1026 = 1038 protoni che si fondono ogni secondo e il Sole… resta acceso. [13] [14]

   Un aumento della temperatura di qualche centinaia di migliaia di kelvin incide poco sulla probabilità di effetto tunnel che cresce invece con il quadrato della densità dei protoni.

  L’effetto tunnel è sfruttato in diverse applicazioni tecnologiche che utilizziamo anche se lontane dalle nostre esperienze scolastiche delle scuole superiori. [15]
  È comunque possibile riprodurre l’effetto tunnel di tipo ottico (che ricorda molto da vicino l’effetto tunnel quantistico) con una attrezzatura reperibile in molti laboratori di elettronica.
  In alcuni casi un’onda elettromagnetica che colpisce la superficie di separazione da un mezzo più rifrangente – paraffina – ad uno meno rifrangente – aria – può manifestare una riflessione totale. Ma se si avvicina un altro blocco di paraffina e si lascia una intercapedine d’aria delle dimensioni inferiori a quella della lunghezza d’onda che stiamo osservando quest’ultima passerà dal primo al secondo blocco di paraffina.   Con un emettitore di microonde a 3 cm (generate da un gunnplexer dal costo di qualche decina di euro) è possibile verificare che l’onda viene riflessa dalla superficie interna di un prisma di paraffina. Ma se a questo mettiamo di fronte un altro prisma, ad una distanza di circa 1,5 cm, l’onda non subirà la rifrazione.


  Possiamo anche chiederci se è possibile osservare l’effetto tunnel senza l’ausilio di strumentazione (fosse anche un semplice tester) e se è possibile verificarlo nel macrocosmo: in altre parole, se lanciamo una palla contro un muro, anche con una certa frequenza, perché non accade che questa lo trapassi lasciandolo integro?

   Si deve innanzitutto sottolineare il fatto che, in ogni caso, per il principio di indeterminazione, non è possibile osservare direttamente una particella mentre supera una barriera di potenziale ma solo prima e dopo.

Per il principio di indeterminazione è possibile una violazioni temporanea e non rilevabile della conservazione dell’energia a patto di rispettare la relazione ΔE = ħ t. Per un tempo di circa 10-24 s la particella α può avere l’ energia cinetica sufficiente per superare la barriera di potenziale che la tiene unita al nucleo.
  


   In definitiva, l’effetto tunnel è tanto più probabile quanto più le energie sono confrontabili con le dimensioni della costante di Planck. 
Pur essendo concettualmente possibile ipotizzare che se lasciassimo cadere su un tavolo una palla da tennis, una penna, un libro o qualsiasi oggetto non sarebbe impossibile che questi lo trapassi non fermandosi sulla sua superficie dobbiamo aver ben chiaro qual è la probabilità che ciò accada. Tale probabilità è talmente infinitesimale da essere considerata nulla. Tutte le particelle dovrebbero avere, contemporaneamente, l’energia sufficiente perché l’effetto tunnel si verifichi. Se una massa di 10-6 kg, un milligrammo (una zanzara o un granello di sabbia) fosse composta da solo protoni ne potremmo contare un numero di 1021. Ipotizzando per ogni singolo protone solo due possibilità, quella di avere e quella di non avere l’energia sufficiente perché l’effetto tunnel avvenga, risulta che la possibilità perché tutti i protoni  abbiano contemporaneamente l’energia richiesta è = 1/(21021) 1/10307. Giusto per avere un riferimento, possiamo indicare l’età dell’Universo, 1017 secondi oppure possiamo indicare le particelle presenti in esso, 1070



[1] Diversa cosa sono le trasformazioni fisiche che è possibile riassumere nei cambiamenti di stato di una sostanza come la trasformazione dell’acqua in ghiaccio o in vapore.  
[2] Naturalmente possiamo utilizzare metodi più precisi ma di più difficile realizzazione.
[3] Per poter scalare il dislivello l’energia cinetica deve essere uguale all’energia potenziale: ½ mv2 = mgh con m la massa, v la velocità, g l’accelerazione gravitazionale e h l’altezza da superare. La palla si fermerà ad una altezza h = ½ v2/g = 0,051 m mentre per arrivare in cima sarà necessaria una velocità v = √2gh = 4,43 m/s.
[4] Come vedremo in un apposito post dedicato alle particelle e alle forze fondamentali (il modello standard).
[5] La fusione tra due protoni è più complessa perché, in realtà, soltanto se al momento del contatto uno dei due protoni si trasforma in un neutrone, con l’emissione di un positrone e un neutrino (decadimento β), il processo può aver luogo.
[6] La relazione che descrive l’intensità tra due cariche elettriche è molto simile a quella gravitazionale: k *(q1*q2)/d2 dove  k è la costante di Coulomb pari a 8,987*109Nm2C-2, q1 e q2 la carica elettrica espressa in Coulomb, d la distanza tra le due cariche; poiché la carica del protone è 1,60*10-19 Coloumb la forza risulta essere 8,987 * 109 * (1,60*10-19)* (1,60*10-19)/(10-15)2 = 230 N che, ad una distanza di 10-15 m, corrispondono a 2,3 * 10-13 J (N*m = J).
[7] L’energia cinetica per velocità non relativistiche è E = ½ mv2 per cui v = Ö (E / ½ m) . La massa del protone è 1,67 *10-27 kg e la velocità necessaria sarà  uguale a Ö ((2,3 *10-13 ) / (1,67 *10-27)) = 1,66 * 107 m/s. Poiché è la velocità relativa tra due protoni che deve essere considerata di questo valore, solo per semplicità la distribuiamo equamente tra due protoni.
[8] T = mv2/3k; v = Ö (3/2kB * T) / (½ m) con kB costante di Boltzmann pari a 1,38*10-23 J/K, T  la temperatura espressa in kelvin, m la massa del protone, 1,67*10-27 kg e v la sua velocità. In un gas la correlazione tra Energia cinetica e temperatura è data dalla relazione J = (3/2) kBT.
[9] La scala del grafico per visualizzare contemporaneamente andamenti a differenti temperature e/o di masse potrebbe visivamente appiattire in modo eccessivo alcune curve.
[10] L’energia di un protone all’interno del Sole è dell’ordine di 1 keV mentre per avvicinare due protoni affinché si superi la repulsione colombina sono necessari 1 MeV.

[11] 1021 (urti al secondo) * 3,15*107 (secondi/anno) * 1010 (anni) = 3,15*1038 urti.

[12] Più del 99% della massa dell’atomo è concentrata nel suo nucleo; se dividiamo la massa del Sole (circa 2,0 * 1030 kg) per la massa del protone  (1,67 * 10-27 kg) otteniamo un valore di circa 1057.

 [13] Il Sole emette una energia pari a 3,9 * 1026 J/s; ogni reazione della catena protone-protone produce 4,3* 10-12 J sono quindi necessarie almeno 3,9 * 1026 / 4,3* 10-12 = 9 * 1037 reazioni (in ogni reazione sono utilizzati 4 protoni, quindi ogni secondo vengono usati 3,6 * 1038 protoni). Semplificando il discorso possiamo anche calcolare quanto tempo è necessario per consumare tutti i protoni presenti nel Sole e si arriva ad un valore di circa 300 miliardi di anni (1057 protoni / (1038 protoni consumati ogni secondo * 3,16 * 107 secondi/anno 3,17*1011)). In realtà, però, il Sole utilizzerà solo il 10% di questi protoni. Ogni secondo 564,2 milioni di tonnellate di idrogeno si trasformano in 560 milioni di tonnellate di elio ovvero 4,2 milioni di tonnellate di massa si trasformano in energia. Posto anche che il Sole utilizzerà solo il 10% dell’idrogeno a disposizione dopo 4,5 miliardi di anni ne ha utilizzato circa il 3%.

[15] L’effetto tunnel trova applicazione tecnologica nel microscopio a scansione,  nei diodi e nelle memorie flash.