Generalmente con il termine urto intendiamo
quella situazione in cui due corpi si scontrano tra loro e, trascurando le
forze esterne, possiamo distinguere due circostanze estreme. Nella prima l’urto
è di tipo anelastico, e questo accade quando i due corpi restano attaccati tra
loro (i corpi spesso si deformano, si conserva la quantità di moto ma l’energia
cinetica si disperde), oppure l’urto può essere di tipo elastico (si conserva anche
l’energia cinetica oltre la quantità di moto).
Per semplicità considereremo solo casi di
urti completamente elastici che avvengono sulla stessa retta tra due corpi
sferici che definiremo, per comodità di esposizione, proiettile e bersaglio.
Considereremo,
inoltre, un bersaglio fermo oppure in moto con verso opposto a quello del
proiettile e con una massa uguale, molto inferiore o molto superiore rispetto a
quella del proiettile.
Iniziamo
a considerare il bersaglio fermo.
Se
il proiettile e il bersaglio hanno la stessa massa accade che, non considerando
le forze di attrito, la velocità dopo l’urto sarà scambiata tra proiettile e
bersaglio. Il proiettile terminerà sua
corsa nel momento in cui colpisce il bersaglio che, da fermo, inizierà a
muoversi con la stessa velocità che aveva il proiettile al momento della
collisione. È quello che accade, ad esempio, con due palle da biliardo. [1] Nel
caso invece il proiettile sia molto più massiccio del bersaglio, come nel caso
di una palla da cannone e una pallina da golf, dopo l’urto il proiettile
continuerà indisturbato il suo cammino e il bersaglio schizzerà via ad una
certa velocità che risulterà essere all’incirca il doppio di quella del
proiettile. Se, si contro, è il bersaglio ad essere molto più massiccio del
bersaglio, il proiettile rimbalzerà (verso opposto) con la stessa velocità con
la quale ha colpito il bersaglio. [2]
Continuiamo
con il bersaglio che si muove con verso opposto a quello del proiettile.
Ancora,
se proiettile e bersaglio hanno la stessa massa, le due velocità risulteranno
scambiate mentre se la massa del bersaglio è di molto inferiore dopo l’urto
risulterà avere due volte la velocità del proiettile più la velocità che aveva
prima della collisione con un verso uguale a quello del proiettile che
risulterà, sostanzialmente, indisturbato nella sua corsa. Infine, se la massa
del bersaglio è molto maggiore di quella del proiettile quest’ultimo risulterà
avere, dopo l’impatto, una velocità doppia a quella del bersaglio più la sua
velocità (e stesso verso del bersaglio).
Ciò
significa che se lanciamo una palla a 30 km/h
contro un autotreno che procede in direzione opposta ad una velocità di 100 km/h accade che la palla, rimbalzando,
avrà una velocità pari alla sua velocità alla quale si deve però sommare due
volte la velocità dell’autotreno: 230 km/h.
Può apparire strano ma, sostanzialmente, è proprio così! [3]
Le
nostre navicelle spaziali che, dalla Terra devono raggiungere la Luna, Venere o
anche Marte seguono il cosiddetto volo di Hohmann (W. Hohmann, 1925). Considerando
l’orbita della Terra e di Marte circolari con il raggio dell’orbita terreste
attorno al Sole circa 1,52 volte più piccola di quella di Marte, la traiettoria
da percorrere è una particolare ellisse con il punto di perielio (il punto più vicino al Sole) che
giace sull’orbita della Terra e il punto dell’afelio (il punto più lontano dal
Sole) che è sull’orbita del pianeta.
In
questo modo una navicella impiega quasi 8,5 mesi per arrivare a Marte. Per
pianeti più lontani si pone però il problema del tempo eccessivamente lungo
(per Nettuno quasi 31 anni) e della quantità di carburante necessaria per tutte
le manovre orbitali.
L’idea
di sfruttare la gravità di Giove per accelerare la velocità delle sonde, la
cosiddetta fionda gravitazionale (Y. Kondratyuk, 1918), è antecedente alla
traiettorie di volo di Hohmann ma si devono attendere più di cinquanta anni (G.
Colombo, 1973) per applicare un progetto con una sonda (Mariner 10) che,
sfruttando la gravità di Venere e di Mercurio ha potuto permettere tre passaggi
su quest’ultimo.
Un
pianeta, con massa molto maggiore di quella di una astronave (proiettile), può
essere utilizzato come bersaglio e il suo moto orbitale attorno al Sole può
essere sfruttato per dare una accelerata (fionda gravitazionale) o una frenata
all’astronave. E non c’è bisogno di contatto fisico con il pianeta!
Se
il piante fosse fermo, non orbitasse cioè attorno ad una stella (ad esempio il
Sole) il veicolo spaziale, con un opportuno angolo di avvicinamento e sotto
l’influsso della forza gravitazionale, aumenterebbe la propria velocità,
girerebbe attorno al pianeta e, ritornando indietro, rallenterebbe della stessa
frazione per la quale aveva subito un’accelerazione fino ad arrivare ad una
distanza dove la velocità è la stessa con la quale è arrivato ma con verso
opposto. [4]
Il
pianeta è invece in orbita attorno ad una stella e i ripropone la stessa
situazione della palla e dell’autotreno; l’astronave potrebbe guadagnare, in
linea assolutamente teorica, fino al doppio della velocità orbitale del
pianeta! Il veicolo aumenta in questo caso la propria velocità a scapito di
quella del pianeta che risulta modificata in modo impercettibile perché
inversamente proporzionale alle masse.
Un
pianeta come Giove potrebbe far aggiungere, ad una astronave, due volte la sua
velocità orbitale che è di circa 47.051 km/h,
13.070 m/s. In realtà il guadagno è
molto inferiore e le astronavi riescono quasi a raddoppiare la velocità di
arrivo ovvero a guadagnare la velocità orbitale del pianeta.[5]
[1] La palla
proiettile non deve ruotare sul proprio asse. I giocatori di biliardo conoscono
bene questa differenza. Per mantenere la palla proiettile ferma una volta che
ha colpito il bersaglio è necessario colpire con la punta della stecca il
centro della palla proiettile. Se la palla proiettile viene colpita in testa e
viene fatta ruotare non si fermerà una volta colpito la palla bersaglio ma
tenderà ad accompagnarla nella sua corsa.
[2] La palla
rimbalzerà anche con la stessa velocità con la quale urta contro il bordo del
biliardo.
[3] La formula generale
degli urti, per imporre la conservazione della quantità di moto è semplice da
ricordare. La massa del proiettile moltiplicata la sua velocità sommata alla
massa del bersaglio moltiplicata la sua velocità il tutto diviso per la somma
delle due masse è la velocità finale. Questa formula si può applicare nel caso
di urti anelastici in cui non intervengono deformazioni meccaniche e due corpi
procedono, dopo la collisione, uniti nello stesso verso. Ipotizziamo due
astronauti nello spazio. Il primo, del peso di 100 kg, viaggia ad una velocità 10 m/s
verso il secondo, che è fermo e pesa 100 kg.
Dopo il contatto, l’aggancio, l’abbraccio, tutti e due viaggeranno uniti alla
velocità di 5 m/s. La velocità è
uguale a VF = (m1v1
+ m2v2)/m1+m2 dove m1, v1,
m2 e v2 sono, rispettivamente, la
massa e la velocità del primo corpo (proiettile) e la massa e la velocità del
secondo corpo (bersaglio) al momento dell’impatto; la velocità finale è
indicata con VF poiché i
due corpi viaggeranno assieme. Quindi abbiamo ((10*100) + (0*100))/(100 + 100)
= 5 m/s. Se l’astronauta bersaglio
avesse invece posseduto una velocità di 5 m/s
dopo il loro incontro la velocità finale sarebbe stata di 7,5 m/s. Ancora, se la massa dell’astronauta
bersaglio fosse di 50 kg la velocità
finale risulterebbe 8,3 m/s. La situazione
cambia nel caso di un urto elastico perché proiettile e bersaglio, non
viaggiando uniti, avranno due velocità distinte. La velocità finale del
proiettile sarà V1 = 2V-v1 mentre quella del
bersaglio sarà V2 = uguale
a 2V-v2.
[4] La
sonda, diminuendo la propria velocità può, naturalmente, anche entrare in
orbita attorno al pianeta.
[5] Perché l’effetto
fionda funzioni il veicolo spaziale deve avvicinarsi al pianeta con l’angolo corretto.
Con un angolo scarso l’effetto fionda risulterà nullo e con un angolo eccessivo
sarà catturato dal pianeta e vi entrerà in orbita. Anche la distanza dalla
superficie del pianeta è importante perché la sua atmosfera potrebbe creare
eccessivo attrito.
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