giovedì 20 luglio 2017

L'irraggiamento termico

 Continuiamo la nostra avventura partendo dal problema dell'irraggia-mento termico. All'inizio del XX secolo la fisica classica non era in grado di prevedere correttamente lo spettro di emissione di un corpo.
 Per la misura dei valori della temperatura si usa spesso far riferimento alla scala termometrica assoluta o scala kelvin (K).
  Il valore di zero della scala kelvin corrisponde allo zero assoluto, -273,15 °C, temperatura alla quale si credeva nulla l’agitazione termica delle molecole (seguirà un post su questo argomento). Per passare dai gradi centigradi a quelli kelvin è sufficiente sommare il numero 273,15 mentre, di contro, per passare dai gradi kelvin ai gradi centigradi basta sottrarlo.[1] 
  In ogni caso, tutti i corpi fisici con una temperatura superiore allo zero assoluto emettono continuamente energia attraverso radiazioni elettromagnetiche. Più precisamente, per emettere energia, il corpo la deve prima assorbire e ciò significa che è in equilibrio termodinamico con l’ambiente circostante. In effetti, ogni corpo assorbe la stessa radiazione che è in grado di emettere (G.R. Kirchoff, 1859).
  Già a temperatura ambiente gli oggetti perdono una quantità importante di energia attraverso la radiazione termica soprattutto nello spettro degli infrarossi e, spesso, tale energia è recuperata assorbendo calore dall’ambiente circostante.
  Un tubo di ferro scaldato ad una temperatura inferiore ai 550 K (circa 277 °C) non emette luce visibile ma raggi infrarossi che possiamo comunque percepire (se lo tocchiamo ci scottiamo); attorno ai 750 K (477 °C) distinguiamo un debole colore rosso bruno che diventa rosso cupo (a 950 K, 677 °C), successivamente rosso arancio e, a 1.550 K (1.277 °C), giallo/bianco. [2]
  È dunque intuibile il fatto che lo spettro di emissione di un corpo varia in funzione della temperatura spostandosi verso lunghezze d’onda tanto più brevi quanto più è alta la temperatura. La luce, infatti, cambia colore – cambia frequenza – all’innalzarsi della temperatura.
  Il rapporto tra l’energia assorbita dal corpo e l’energia totale incidente definisce un parametro adimensionale che rappresenta il potere assorbente del corpo. Quando il corpo assorbe tutta la radiazione incidente si dice corpo nero.[3]
  È stato dimostrato che per un corpo in equilibrio termodinamico, per un corpo cioè che assorbe ed emette la stessa quantità di energia non alterando la propria temperatura, il rapporto tra energia emessa e potere assorbente è una funzione universale, indipendente dalla natura del corpo, legata esclusivamente alla sua temperatura e alla frequenza della radiazione emessa. Poiché, per definizione, un corpo nero assorbe tutta l’energia incidente, il suo potere emissivo è allora solo in funzione della sua temperatura. [4]
  Si può allora definire il potere emissivo di un corpo fisico come la quantità di energia emessa sotto forma di radiazione elettromagnetica ad una data temperatura.
  Ma come varia l’intensità e lo spettro della radiazione emessa in funzione della temperatura? Il numero di fotoni emessi (in un dato volume) è proporzionale al cubo della temperatura mentre l’energia media di un fotone è proporzionale alla temperatura; la densità di energia; l’intensità della radiazione sarà allora data dal prodotto tra il numero di fotoni nell’unità di volume e l’energia media per fotone; cioè uguale alla quarta potenza della temperatura assoluta (J. Stefan, 1879; L. Boltzmann, 1884).[5]
   Le curve sperimentali del potere emissivo del corpo nero a diverse temperature permettono di ricavare una particolare legge che indica come costante, e più precisamente come uguale a 0,002898 mK, il prodotto della temperatura per la massima lunghezza d’onda emessa (W. Wien, 1893). Alla temperatura di 1 K,  la massima emissione si ha con onde elettromagnetiche della lunghezza di 0,002898 m. In pratica, se si divide il valore di 0,002898 m per la temperatura del corpo (espressa in gradi kelvin), si ottiene la lunghezza d’onda (in metri) della massima emissione. [6]
  Una lampada a incandescenza, con una temperatura di circa 3.000 K avrà un massimo di emissione attorno a 9,9*10-7 m (per noi invisibile) ma emetterà, in parte, anche nella zona tra 4,0 *10-7 e 7,0 *10-7 m a noi accessibile. Una temperatura di 6.000 K, sostanzialmente la temperatura superficiale del sole, ha il suo massimo di emissione intorno ai 4,8*10-7 m (0,002898 m/6.000 K), cioè nella luce visibile. [7]
  Per ottenere una la luce bianca, composta da tutti i colori dell’arcobaleno, si deve avere una temperatura di 1.450 K; con questa temperatura i corpi emettono una radiazione che, partendo dalla zona dell’ultra-violetto, cresce velocemente fino a un massimo di una lunghezza d’onda corrispondente a 2*10-6 m, per poi decrescere, più lentamente, fino nella zona al colore rosso del visibile.

La distribuzione della densità dell’energia raggiante, nella gamma delle frequenze emesse dal corpo nero a ogni diversa temperatura, ha sempre una distribuzione a forma di campana (che bene si evidenzia con una temperatura di 6.000 K); che non è però perfettamente simmetrica. La curva mostra una crescita più rapida nella lunghezza d’onda più corta e un declino più dolce in quelle più lunga con un valore finito dell’area racchiusa sotto la campana.
  I dati sperimentali non furono però subito descritti da un adeguato formalismo matematico, col paradosso di arrivare a quella che fu ironicamente e folcloristicamente definita la catastrofe ultravioletta poiché, nella descrizione originale, al crescere della temperatura aumentava esponenzialmente la frequenza della radiazione emessa (dovuta convinzione di uno scambio continuo di energia a qualsiasi lunghezza d’onda) così che, alle temperature delle normali stufe di casa, avremmo già dovuto preoccuparci per l’eccessiva emissione di raggi ultra-violetti!




[1] Nella scala kelvin il ghiaccio fonde a +273,15 °C e l’acqua bolle a +373,15 °C mentre, nella scala celsius, divisa in gradi centigradi, il ghiaccio fonde a 0 °C e l’acqua evapora a 100 °C alla pressione di una atmosfera.
[2] Il massimo dell’emissione è comunque a una lunghezza d’onda di circa 2*10-6. A basse temperature l’emissione del colore percepito (rosso) corrisponde al colore della componente spettrale; quando lo spettro si arricchisce di emissione di lunghezza d’onda minore (dal giallo al verde fino al violetto) il colore della luce percepita tende al bianco. Si deve anche rilevare come la quantità di energia radiante infrarossa sia sempre molto maggiore di quella visibile.
[3] La miglior approssimazione di un corpo nero si ha con il carbonio, sotto forma di grafite, che riflette solo il 3% dell’energia incidente.
[4] Tutti i corpi diventano color “rosso rovente” alla stessa temperatura (T. Wedgwood, 1792).
[5] Naturalmente moltiplicata per  la costante di Stefan-Boltzmann  pari a 5,6697*10-8 joule/m2*s*K. Ciò significa che, se vogliamo un calcolo più approssimativo, raddoppiando la temperatura del corpo l’intensità della radiazione aumenta 32 volte (2*24) e, triplicando la temperatura del corpo, l’intensità aumenta 243 volte (3*34).
[6] Per ottenere il risultato espresso come frequenza si moltiplica il valore della temperatura per il  numero 1,0352*1011
[7] Il sole ci appare di colore giallo perché la nostra atmosfera disperde le radiazioni nelle lunghezze d’onda del blu e del viola lasciando passare quelle di colore giallo (e il cielo diurno è dunque di colore azzurro).

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