sabato 22 luglio 2017

Una nuova fisica: la meccanica quantistica


 La spiegazione del meccanismo di emissione della radiazione elettroma-gnetica da parte dei corpi è risolta ipotizzando la quantizzazione dell’e-nergia; i processi legati all’irraggiamento termico sono chiariti in modo soddisfacente solo attraverso trasferimenti non continui, ma discreti, di energia.
 Conservando i risultati coerenti con le osservazioni sperimentali delle relazioni che legano rispettivamente l’emissione della massima energia ad una precisa lunghezza d’onda e la proporzionalità dell’intensità della radiazione emessa alla quarta potenza della temperatura l’ipotesi dei quanti di radiazione (M. Planck nel 1900), secondo la quale l’energia può essere acquistata o emessa dai sistemi solo come multiplo intero di una quantità discreta definita appunto quanto, rende magnificamente conto alle osservazioni sperimentali. Il fenomeno dell’irraggiamento è dovuto agli elettroni che possono emettere o assorbire energia unicamente in quantità proporzionale alla frequenza f secondo una costante h, la costante di Planck, pari a 6,62*10-34 joule per secondo [1], che lega dunque l’energia di un quanto di radiazione alla sua frequenza:

E = h f

Oppure:
E = hc/l

  L’energia di un fotone dei raggi X risulta così essere 50.000 volte superiore a quella di un fotone della luce visibile giacché la sua frequenza è 50.000 volte superiore.[2]
  A temperatura costante l’intensità della radiazione emessa da un corpo aumenta rapidamente fino a un valore massimo per poi decrescere più lentamente. [3]
  Il legame h f spiega anche un’altra questione ancora aperta da tempo. Era già noto alla fine dell’800 che la superficie di un metallo irradiata con raggi ultravioletti emette elettroni (H.R. Hertz, 1887; W.L.F. Hallwachs, 1888; P.E.A. von Lenard, 1899). [4]
  Ciò significa che l’energia della luce si è in parte trasformata nell’energia cinetica degli elettroni espulsi dal metallo dando luogo al cosiddetto effetto fotoelettrico. E, contrariamente a quanto si potrebbe ipotizzare, all’aumentare dell’intensità della radiazione non coincide una maggior energia degli elettroni, ma solo un loro maggior emissione in termini di numero. In effetti, se la luce fosse un’onda la forza di espulsione degli elettroni dal metallo dovrebbe dipendere dalla sua intensità e non dalla sua frequenza mentre, di contro, quello che aumenta la velocità degli elettroni emessi è proprio la frequenza della radiazione incidente. La luce blu conferisce maggior velocità agli elettroni rispetto, ad esempio, alla luce gialla. Una debole intensità della luce blu causa una minor emissione nel numero di elettroni rispetto ad una luce molto intensa di colore giallo, ma la loro velocità è sempre superiore. La luce rossa, poi, non provoca, in alcuni metalli, l’emissione di elettroni. Per ogni metallo esiste una frequenza di soglia al di sotto della quale l’effetto fotoelettrico non ha luogo (per il potassio, ad esempio, la luce rossa non consente l’emissione di elettroni e la frequenza di soglia è nel verde). Se, invece, la frequenza è maggiore della frequenza di soglia, la velocità degli elettroni emessi aumenta proporzionalmente alla differenza tra la frequenza della radiazione incidente e la frequenza di soglia.
  La descrizione ondulatoria della luce non riesce a dare una spiegazione soddisfacente all’effetto fotoelettrico. Perché, ad una radiazione più intensa, non corrisponde una maggior energia cinetica degli elettroni emessi? Quale legame esiste cioè tra frequenza della radiazione incidente e l’energia degli elettroni?
  L’effetto fotoelettrico può essere spiegato ammettendo che la luce sia composta da grani di energia E = hf  (A. Einstein, 1905): sì, proprio gli stessi quanti di luce che spiegano la radiazione del corpo nero. Se la luce si propaga attraverso grani di energia, definiti successivamente fotoni (G. Lewis, 1926; V Congresso Solvay, 1927), gli elettroni del metallo o assorbono esattamente un fotone, sufficiente a superare l’energia di soglia per essere così espulsi, oppure è inutile aumentare l’intensità della radiazione incidente perché si aumenta il numero di fotoni inviati al metallo, ma non la loro energia. Se, viceversa, si supera la frequenza di soglia, il numero di elettroni emessi sarà tanto maggiore quanto più intensa è la radiazione incidente. E aumentando ancora la frequenza della radiazione incidente aumenterà ulteriormente l’energia degli elettroni emessi.
  L’unità hf, introdotta inizialmente per rendere conto allo spettro di emissione del corpo nero, non è allora un mero artificio di calcolo perché trova nell’effetto fotoelettrico, cioè nella teoria quantistica della luce, un significato fisico più preciso: la luce ha un comportamento tipico dei corpuscoli! Questo aspetto è definitivamente confermato dall’effetto Compton (A.H. Compton, 1923) che si manifesta quando un fascio monocromatico di raggi X con una determinata frequenza (e, a maggior ragione, di raggi g) colpisce della grafite e viene, in parte, diffuso con una lunghezza d’onda maggiore rispetto a quella incidente.
  Se la luce fosse considerata un fenomeno esclusivamente ondulatorio l’onda che colpisce la grafite dovrebbe avere la stessa frequenza dell’onda diffusa ma, di contro, nelle rilevazioni sperimentali è possibile osservare due distinti picchi corrispondenti sia alla lunghezza d’onda originaria sia a una lunghezza d’onda maggiore. Solo assegnando al fotone anche un impulso (una quantità di moto), pensando cioè alla radiazione come ad un fenomeno corpuscolare, si spiega la diffusione dei raggi X con una la variazione della loro lunghezza d’onda, dovuta alla cessione di energia nella collisione con elettroni. Il fenomeno può essere così spiegato perché la radiazione, composta da fotoni, si comporta proprio come una particella e, quando il fotone colpisce un elettrone degli atomi della grafite, produce un urto elastico che obbedisce al principio di conservazione dell’energia e della quantità di moto. Nell’urto, il fotone devia dalla direzione originale secondo un certo angolo cedendo parte della sua energia all’elettrone che inizia a muoversi nella direzione opposta. E proprio perché il fotone lascia parte della sua energia all’elettrone, dovrà essere diffuso con una lunghezza d’onda maggiore di quella incidente (esattamente come rilevato sperimentalmente) giacché la sua energia è inversamente proporzionale alla sua lunghezza d’onda.
  In conclusione, è considerando il dualismo onda-corpuscolo della radiazione elettromagnetica che si spiegano i fenomeni legati alla sua interazione con la materia.



[1] Per quantificare l’energia è possibile utilizzare come unità di misura il joule (J). Più in specifico il joule è l’unità di misura dell’energia, del lavoro e del calore con dimensione kg*m2/s2. Un joule è il lavoro svolto esercitando la forza di un Newton per una distanza di un metro (1 N*m; è cioè il lavoro compiuto da 1 Newton quando il suo punto di applicazione si sposta di 1 m nella direzione e nel verso della forza stessa; un Newton è la forza che imprime un’accelerazione di 1 m/s2 alla massa di 1 kg cioè l’energia necessaria per spostare di 1 metro il punto di applicazione di una forza ovvero
un joule è il lavoro richiesto per sollevare una massa di 102 g per un metro, opponendosi alla forza di gravità terrestre. Un joule è anche il lavoro necessario per erogare la potenza di un watt per un secondo, (=1 W*s).
Poiché il lavoro di una forza, che si esprime in joule, aumenta l’energia cinetica del corpo al quale è applicata, anche l’energia cinetica può essere espressa in joule. È facile calcolare l’energia cinetica dei corpi se esprimiamo la loro massa in kg e la loro velocità in m/s. Un joule equivale all’energia cinetica (½mv2) di un sasso della massa di 0,5 kg che viaggia alla velocità di 2 m/s (la velocità alla quale cammina normalmente un uomo) ovvero una massa di 1 kg con velocità di 1 m/s esprime una energia cinetica di 0,5 J. Similmente, un corpo di 1 kg che si muove alla velocità di 3 m/s ha un’energia cinetica (½mv2) di ½*1*32 cioè 4,5 joule; similmente un corpo con massa 10 kg che si muove con una velocità di 1 m/s ha un’energia cinetica di 5 joule mentre un sasso con massa di 0,100 kg che viaggia alla velocità di 10 m/s oppure l’energia di un corpo con massa di 1 kg che viaggia ad una velocità di 1,42 m/s hanno un’energia cinetica di 1 joule.
[2] La frequenza dei raggi X è di 3*1019 Hz con una energia di 1,9875*10-14 J  mentre la luce visibile ha una frequenza di 6*1014 Hz e l’energia di un fotone è di 3,975*10-19 J.
[3] L’equazione dell’irraggiamento termico è descritta dalla relazione (8phc25)*(1/(ehc/λkT -1)) dove e rappresenta il numero di Eulero uguale a 2,71828..., k è la costante di Boltzmann pari a  1,38*10-23 JK-1, T  la temperatura del corpo espressa in gradi kelvin, λ è la lunghezza d’onda della radiazione e h la costante di Planck. La formula è stata qui riportata perché ha segnato la nascita di una nuova fisica, la meccanica quantistica, ma anche per dare la possibilità di costruire con Excel un grafico dell’andamento dell’emissione.
[4] Una placca di zinco bombardata con radiazione ultravioletta si caricava cioè elettricamente.

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