La luce è stata argomento di vivaci discussioni sia nel mondo
dei filosofi sia in quello dei fisici. Nel XVII secolo all’ipotesi della sua
natura corpuscolare (I. Newton, 1666) si contrappone quella ondulatoria (C. Huygens,
1678), che meglio spiega il fenomeno della rifrazione.
Facendo
passare la luce bianca attraverso un prisma di vetro – evidenziando cioè il
fenomeno dell’arcobaleno – si è scomposta la luce bianca nei colori che la
compongono partendo dal violetto, con lunghezza d’onda più corta e terminare
con il rosso, con lunghezza d’onda più grande (I. Newton 1672).
Due
famosi esperimenti confermano come propri della luce il fenomeno
dell’interferenza (T. Young, 1801) e della diffrazione (A.J. Fresnel, 1818) assegnandogli
così definitivamente una natura di tipo ondulatorio.
Più
in generale è stata sviluppata la teoria portante sulla propagazione della luce
e delle onde elettromagnetiche; la forza elettrica e la forza magnetica sono,
appunto, diversi aspetti di un’unica forza, la forza elettromagnetica (J.C.
Maxwell, 1873), che è stata verificata sperimentalmente (H. R. Hertz, 1888).
La
velocità di queste onde nel vuoto risulta essere finita, come ipotizzato quasi
due secoli prima (O.C. Römer, 1675), e uguale a quella della luce che, sempre
nel vuoto, è costante e pari a 299.792.458 m/s.[1]
Tale valore è abitualmente indicato
con la lettera c, dal latino celeritas, velocità (P. Drude, 1894).
Per eseguire in modo più rapido i calcoli, utilizzeremo il valore approssimato
di 3*108 m/s. È
utile ricordare la relazione che lega velocità, lunghezza d’onda e frequenza
delle onde elettromagnetiche. La velocità di propagazione di un’onda è uguale
al prodotto della frequenza per la lunghezza d’onda, c = lf ovvero 3*108 m/s (equivalentemente f = c/l). [2]
Un’onda
elettromagnetica la cui lunghezza è di 1 m
corrisponde, con buona approssimazione, ad una frequenza di 3*108 Hz (cicli/s) e, naturalmente, ad ogni ordine
di grandezza superiore o inferiore al metro nella lunghezza d’onda corrisponde
un ordine inferiore o superiore nella frequenza (ad una lunghezza d’onda di 10 m corrisponde una frequenza di 3*107 Hz
mentre ad una lunghezza d’onda di 0,1 m
corrisponde una frequenza di 3*109 Hz).
Non
ci dobbiamo certo stupire se quello delle onde elettromagnetiche è stato un
argomento molto dibattuto. Grazie ad esse ci scaldiamo, ci abbronziamo,
riusciamo a vedere tutte le cose che ci circondano, ascoltiamo anche la radio,
guardiamo la televisione e, soprattutto, è possibile la vita. [3]
È
indubbio poi che apprezziamo gli effetti della forza elettromagnetica per una
ragione particolare: il suo raggio d’azione si estende all’infinito (pur
diminuendo di intensità con il quadrato della distanza). Questa peculiarità fa
sì che la forza elettromagnetica svolga un ruolo determinante non solo per il
nostro pianeta, ma in tutto l’universo perché i fotoni sono il mezzo attraverso
il quale viaggia praticamente tutta
l’informazione del cosmo; l’informazione relativa ad un evento non si trasmette
dunque istantaneamente in tutto l’universo.
Ipotizziamo
di osservare, con un telescopio, il momento esatto dell’accensione di una
lampadina sulla superficie della Luna. Dal momento della sua reale accensione
trascorreranno circa 1,27 secondi prima
di poter osservare l’evento sulla Terra. È questo il tempo che la luce, con una
velocità di 300.000 km/s impiega a
percorrere i circa 380.000 km che separano
la Luna dalla Terra. [4] La
luce, che in un secondo compie circa 7,5 volte il giro della Terra a livello
dell’equatore o percorre 629 volte la distanza Milano-Roma, impiega ben 100.000
anni per attraversare da un estremo all’altro la nostra galassia.
La
luce ha una caratteristica unica che sembra contraddire quello che possiamo
verificare intuitivamente: la composizione delle velocità (relatività
galileiana). [5]
Abbiamo
quotidianamente consapevolezza di composizione delle velocità per sistemi in
moto rettilineo uniforme. La nostra esperienza ci permette di affermare che se
un treno si muove a 30 km/h e un
carrello posto in una carrozza è spinto a 20 km/h nella direzione del moto, esso si muoverà (rispetto alla
banchina) a una velocità di 50 km/h;
se lo si spingerà, invece, sempre con la stessa velocità, ma in direzione
opposta al moto, esso si muoverà a 10
km/h (sempre rispetto alla banchina).
L’accelerazione
subita da un corpo è invece uguale per due sistemi di riferimento in moto
rettilineo uniforme. Se un osservatore fermo rileva, ad intervalli regolari di
1 s, la velocità di un treno, che
risulta essere rispettivamente di 50, 60 e 70 km/h, concluderà che l’accelerazione osservata è di 10 km/h. Un motociclista, che procede
regolarmente ad una velocità di 30 km/h
evidenzierà, per gli stessi intervalli di tempo, una velocità di 20, 30 e 40 km/h e concluderà, ugualmente, che il
treno ha subito un’accelerazione di 10 km/h:
il valore della velocità è diverso ma l’accelerazione è invariante!
Il
moto è anche relativo. Ne abbiamo una sensazione quando siamo su un treno e
partiamo molto lentamente mentre sul binario accanto c’è un altro treno fermo
in realtà, per qualche secondo, non riusciamo a capire quale dei due treni si
sia mosso veramente.
Oltre all’accelerazione abbiamo la
sensazione che anche la massa non cambi nel confronto tra i due sistemi di
riferimento; una ipotetica nostra valigia ci costringe allo stesso sforzo sia
in stazione sia sul treno (sempre che questi non freni o acceleri
all’improvviso) e non mettiamo in dubbio la relazione F = ma.
E per le onde? Sempre sul treno, che
viaggia ad una velocità di 30 km/h, se
un ragazzo prende un capo di una corda in mano mentre un altro ragazzo prende
in mano l’altro capo; uno dei due ragazzi può imprimere alla corda semitesa,
con un movimento veloce su e giù del braccio, un impulso, un’onda, che si
trasmetterà con andamento sinusoidale (ipotizzando che non ci sia smorzamento)
fino a raggiungere l’altro ragazzo. Per un osservatore posto sul treno l’onda
così formata si sposterà lungo tutta la corda ad una velocità di 1 m/s (3,6 km/h) mentre, per un osservatore fermo posto sulla banchina, la
sua propagazione sarà soggetta alla composizione delle velocità e risulterà
essere di 33,6 km/h.
Più
complessa è la questione relativa alle onde sonore che si propagano nell’aria e
rispettano anch’esse la composizione delle velocità, nel senso che una onda
sonora risente del fatto di passare da una zona senza vento ad una con il vento
(e, in questo ultimo caso, la velocità del suono si somma o si sottrae a quella
della corrente d’aria e, naturalmente, maggiore nel caso di sopravento e minore
nel caso di sottovento); proprio per questo la velocità di propagazione delle
onde sonore fa riferimento considerando l’aria (il mezzo di propagazione) nello
stato di quiete.
Una
banda che suoni su una carrozza scoperta del treno produrrà effetti diversi per
il direttore d’orchestra solidale con la banda rispetto ad un altro fermo sulla
banchina.
La
velocità di propagazione dell’onda sonora sarà la stessa per entrambi i
direttori ma, quello fermo in stazione, rileverà un cambiamento apparente della
frequenza (della lunghezza d’onda) nel segnale percepito apprezzando una
variazione nella tonalità del suono. Con un esempio più vicino al nostro
quotidiano si può affermare che il suono di una sirena posta su un’autovettura
in avvicinamento è sempre uguale per l’autista che ne è alla guida (perché è
solidale col sistema di riferimento), ma appare diverso a un passante, con un effetto
tanto più evidente quanto
l’autovettura è più veloce e quanto gli è più vicino.[6]
È interessante
sottolineare come, di contro, nel passaggio tra due mezzi con diversa densità
(es. aria e acqua), è la frequenza a rimanere inalterata mentre varia la
velocità di propagazione – che
è dunque diversa
a seconda delle caratteristiche del mezzo – e, solitamente, è tanto più veloce quanto il mezzo è più
denso (la velocità di propagazione delle onde sonore nell’aria è 344 m/s mentre, nel vetro, è oltre 15 volte
maggiore).
Si deve anche rilevare come non sia la
velocità relativa tra sorgente e osservatore a determinare la variazione
apparente della frequenza dell’onda sonora, ma la velocità della sorgente e/o
dell’osservatore rispetto al mezzo di propagazione. È questo un fatto
rilevante, come vedremo, nel caso in cui non sia necessario un mezzo di
propagazione.
La variazione apparente nella frequenza delle
onde è un fatto noto col nome di effetto Doppler (C. A. Doppler, 1842) il quale
evidenzia come la situazione, per le onde sonore, non sia simmetrica e si possa
rilevare una differenza tra il caso in cui sia la sorgente oppure, di contro,
l’osservatore ad essere in moto. [7]
Anche per le onde luminose si
riscontra l’effetto Doppler ma, in questo caso, poiché per le onde
elettromagnetiche tutti i sistemi di riferimento sono equivalenti, esso dipende solo dalla velocità relativa tra
sorgente e osservatore (H. Fizeau 1848).
Per semplicità, con le onde elettromagnetiche,
possiamo considerare solo due casi. Nel primo la sorgente è in avvicinamento
verso l’osservatore mentre, nel secondo, è in allontanamento. Se una sorgente
emette una luce di colore giallo e risulta essere in allontanamento dall’osservatore questi percepirà una
luce di colore rosso, dando luogo al cosiddetto fenomeno di redshift (spostamento verso il rosso)
mentre, di contro, un osservatore in avvicinamento percepirà una luce di colore
azzurro/blu dando luogo al fenomeno di blushift
(spostamento verso il blu). [8]
Se la sorgente
si avvicina all’osservatore avremo una diminuzione della lunghezza d’onda (aumento
della frequenza) a differenza di una sorgente che si allontana dove rileveremo
un aumento della lunghezza d’onda (diminuzione della frequenza); partendo dalla
variazione della lunghezza d’onda è possibile calcolare, in campo astronomico,
la velocità di avvicinamento o di regressione delle galassie e delle stelle
nonché la loro distanza. Se poi una galassia dovesse essere a forma di spirale
in rotazione ne potremmo calcolare la velocità di rotazione considerando quella
dei suoi bracci ovvero è possibile calcolare la velocità di rotazione delle
stelle. [9]
La propagazione
delle onde elettromagnetiche è dunque alquanto differente rispetto alle onde
sonore. In primo luogo la luce e le onde elettromagnetiche non necessitano di
un mezzo di propagazione, fatto da non dar semplicemente per scontato e, in
secondo luogo, non rispetta la legge della composizione
delle velocità (si dice che non sono invarianti rispetto alle trasformazioni di
Galileo). [10]
Per
cercare di spiegare questa anomalia è
stato introdotto l’etere, un ipotetico mezzo di propagazione con
singolari caratteristiche che permeerebbe tutto l’universo e grazie al quale
avviene la propagazione delle onde elettromagnetiche proprio come rilevato
sperimentalmente.
E
anche quando l’esperimento per comprovare l’esistenza dell’etere
(A. Michelson, E. Morley, 1882-1887)
fallì in modo indiscutibile e confermò, di contro, che la velocità della luce è
costante si modificarono le trasformazioni di coordinate tra i due sistemi di
riferimento inerziali introducendo, ad esempio, un parametro di contrazione
delle lunghezze nella direzione del moto pari a Ö(1-(v2/c2)) in
modo da rendere possibile una adeguata misura dello spazio e del tempo quando
l’oggetto è in moto uniforme rispetto all’osservatore (H. A. Lorentz, 1904).
In questo modo tali trasformazioni sono ancora
un tentativo di giustificare l’etere che, grazie al suo vento, deformerebbe i
corpi, incluso lo strumento di misura, accorciandoli nella direzione del moto
e, parallelamente, rallenterebbe il ritmo degli orologi alterando così il
risultato della misurazione in modo tale da far apparire costante la velocità
della luce mentre l’etere è immobile e permeante tutto l’universo…
[1]
La velocità
della luce è uguale al reciproco della radice quadrata del prodotto tra la
costante dielettrica del vuoto e la permeabilità magnetica del vuoto. Il valore
della velocità della luce non è un parametro adimensionale e dipende perciò dal
sistema metrico usato.
[2] Nelle formule il segno della moltiplicazione è omesso (es. ab = c ) o, in alternativa, è rappresentato dal segno asterisco “*”, (es. a*b = c) mentre i prefissi k (kilo), M (Mega) e G (Giga) indica, rispettivamente, un fattore di 103 , 106 e 109 .
[2] Nelle formule il segno della moltiplicazione è omesso (es. ab = c ) o, in alternativa, è rappresentato dal segno asterisco “*”, (es. a*b = c) mentre i prefissi k (kilo), M (Mega) e G (Giga) indica, rispettivamente, un fattore di 103 , 106 e 109 .
La frequenza può essere indicata con il
simbolo dell’alfabeto greco “ν” (con
pronuncia “ni” ma, in ambito
scientifico la pronuncia è “nu”)
oppure con la lettera “f” (effe)
dell’alfabeto italiano; qui si è preferito quest’ultima per evitare confusione
con la lettera “v” (vu), sempre dell’alfabeto italiano,
utilizzata per indicare la velocità.
[3] La luce
rappresenta solo una piccola frazione delle onde elettromagnetiche che, assieme
alle onde radio, sono sicuramente quelle più famose. Lo spettro
elettromagnetico comprende infatti una varietà di lunghezze d’onda che variano
da quelle paragonabile ad un nucleo atomico (raggi gamma) alla distanza che
separa Milano da Brescia (onde radio). La
suddivisione dello spettro elettromagnetico nelle bande è puramente nominale
giacché non esiste un confine reale
fisico.
Per le onde elettromagnetiche che hanno una lunghezze d’onda inferiori a 10-12
m (>3*1020
Hz) si hanno i raggi gamma, nelle
lunghezze d’onda comprese tra 10-11 m (3*1019 Hz) e 10-9
m (3*1017 Hz)
troviamo i raggi X; con una lunghezza
d’onda tra 10-8 m (3*1016
Hz) e 3,7*10-7
m (8,1*1014
Hz) ci sono i raggi ultravioletti
mentre nella piccola finestra compresa tra 4*10-7 m (7,5*1014 Hz)
e 7*10-7 m (4,29*1014
Hz) c’è lo spettro della luce visibile (l’occhio umano è dunque
sensibile ad una frazione di onde elettromagnetiche con una lunghezza d’onda
inferiore al millesimo di millimetro e superiore al decimillesimo di
millimetro). Da 7*10-7 m
(4,29*1014 Hz)
a 10-3 m (3*1011 Hz)
abbiamo i raggi infrarossi, tra 10-2
m (3*1010
Hz) e 1 m (3*108 Hz)
le microonde e, infine, con una lunghezza d’onda di oltre 1 m
(<3*108 Hz)
le onde radio. Le radioonde sono alla base di tutti i sistemi di
telecomunicazioni (amatoriali e professionali). La banda delle radiofrequenze è
quella convenzionalmente compresa tra 3*103 e 3*1012
Hz ovvero tra lunghezze d’onda
tra 105 m e 10-4
m. Una radio sintonizzata sulla
frequenza di 106 MHz cattura onde con
una lunghezza di 2,8302 m; ad una
frequenza di 106,1 MHz corrisponde
invece una lunghezza d’onda di 2,8275 m
con una differenza, tra le lunghezze d’onda corrispondenti alle due frequenze,
di 0,267 cm. È questa una differenza
“grande” per i sofisticati strumenti di ricerca ma più che sufficiente per i
nostri comuni impianti hi-fi che possono ricevere le diverse canzoni di due
stazioni emittenti concorrenti separate solo da 0,1 MHz .
I
raggi X sono noti perché applicati
con successo alle radiografie per verificare l’integrità delle nostre ossa (ma non solo) e, assieme ai raggi g sono
ricollegabili a fenomeni del mondo atomico o galattico mentre i raggi a
e i raggi b non sono onde
nel senso stretto del termine essendo i primi formati da aggregati di due
neutroni e due protoni – cioè dal nucleo dell’elio – e i secondi da elettroni.
[4] Similmente, se dovessimo osservare
dalla superficie del Sole i pianeti vedremmo ciò che è già accaduto da
circa 3' 13" per Mercurio, 6' per Venere (la
sua istanza media è di 108.000.000 km ), 8'
19" per la Terra, 13' 40" per Marte, 43'
15" per Giove, 79' 17" per Saturno, 159'
27" per Urano, 259' 50" per Nettuno e, infine, 328'
8" per Plutone . Un evento osservato sulla stella a noi più
vicina dopo il Sole, Proxima
Centauri, è accaduto oltre quattro anni fa. E la partenza dalla Terra di
una ipotetica nave spaziale con una velocità costante di 10.000 m/s (circa
30.000 volte più lenta della luce) arriverebbe a destinazione su Proxima
Centauri tra quasi 127.000 anni.
[5] Più in generale dall’osservazione intuitiva degli
eventi con due sistemi di riferimento in moto rettilineo uniforme il tempo
risulta essere assoluto (una volta sincronizzati gli orologi) così come anche la massa
dei corpi non cambia mentre, di contro, la velocità subisce una variazione ed
è, pertanto, relativa.
[6] Per inciso, in
tempo di guerra, il fatto di sentire la variazione del tono del fischio del lancio di una bomba fino a sentirne lo scoppio significava non essere colpiti perché era passata oltre, così mi diceva mio
nonno Andrea Battista!
[7] Nota con esempi di calcolo disponibile su richiesta.
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