giovedì 27 luglio 2017

La Relatività Ristretta (o Speciale)

La luce e le onde elettromagnetiche più in generale hanno caratteristiche davvero controintuitive; da un lato la loro energia può essere acquistata o ceduta solo in pacchetti discreti, i quanti e, dall’altro, la costanza della sua velocità di propagazione ha fatto ipotizzare l’esistenza dell’etere lumi-nifero. Proprio il tentativo sperimen-tale di dimostrare l’esistenza di quest’ultimo avvalorerà l’esatto contrario. Non sono dunque le straordinarie proprietà di questo mezzo che dovrebbe permeare tutto l’universo a deformare gli strumenti di misura così da avere uno spazio e un tempo assoluti (in modo da riconciliare leggi della meccanica e legge dell’elettromagnetismo) per giustificare l’apparente costanza della velocità della luce ma è la reale costanza della velocità della luce che fa cambiare la concezione dello spazio-tempo giacché, su di essa, non è possibile applicare la legge della composizione delle velocità.
  In particolare, in un sistema inerziale, che si muove cioè di moto rettilineo uniforme con velocità costante lungo una linea retta (non accelerando e non ruotando) rispetto ad uno fermo, non esistono un tempo e uno spazio assoluto proprio perché se è la velocità della luce ad essere sempre costante dovranno essere relative le dimensioni dello spazio e del tempo; la variabile temporale cambia in due sistemi di riferimento in moto relativo rettilineo uniforme e un orologio in moto rispetto a un osservatore fermo rallenta.
  La scelta di inquadrare in un unico schema l’invarianza meccanica e la costanza della velocità della luce porta, per i sistemi in moto rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro, alla teoria della relatività ristretta (A. Einstein, 1905). [1]
  Le proprietà delle leggi della meccanica e leggi dell’elettromagnetismo sono rese compatibili attraverso una drastica revisione dei concetti di spazio e di tempo assoluti. Mentre l’intuizione ci porterebbe a sostenere che il tempo è costante (assoluto) e la velocità è relativa (composizione delle velocità), si sviluppa, di contro, il concetto secondo il quale se la velocità della luce è costante allora il tempo deve essere relativo. Lo spazio, il tempo e la massa sono indissolubilmente legati e deformati dal moto. I corpi (i sistemi di riferimento) hanno un tempo, uno spazio e una massa propri dettati dalla velocità. Si assiste dunque ai fenomeni della dilatazione dei tempi, della contrazione delle lunghezze e dell’aumento della massa.
  Due eventi possono essere simultanei per un osservatore ma non per un altro che si muove di moto rettilineo uniforme rispetto al primo. Gli eventi non sono simultanei per tutti gli osservatori in moto rettilineo uniforme perché non si trasmettono a velocità infinita.
  La durata di un fenomeno misurato da un sistema di riferimento in movimento rispetto ad uno in quiete risulta essere maggiore ovvero, per osservatori esterni ai sistemi in moto, il tempo si dilata. Posta v la velocità di uno corpo, il tempo risulterà essere aumentato approssimativamente di 1/Ö(1-(v2/c2)) volte. [2]
   Similmente, la misura della lunghezza di un oggetto in movimento è minore del valore misurato di quando è in quiete. La contrazione è approssimativamente di 1*Ö(1-(v2/c2)) volte.
  E la massa? La massa aumenta con la velocità secondo la relazione 1/Ö(1-(v2/c2)). Mentre l’azione di una forza costante agente su una massa produce, secondo la meccanica classica, un aumento indefinito della velocità, secondo la teoria della relatività ristretta aumenta indefinitamente la quantità di moto, con la velocità che aumenterà di poco essendo la massa a poter crescere indefinitamente al tendere della velocità al valore della velocità della luce: nel mondo subatomico questo concetto trova profonda applicazione con gli acceleratori di particelle.
  Un sistema molto semplice per ottenere il coefficiente da applicare per la variazione della lunghezza, del tempo o della massa in funzione della velocità è quello porre la velocità della luce come uguale a 1 ed indicare la velocità del corpo in rapporto ad essa; è infatti agevole verificare che la massa aumenta di 1/Ö1-0,992 = 7,089 volte ad una velocità pari al 99% della luce ovvero la lunghezza si riduce a 1Ö(1-0,994982 = 0,01 – cioè un decimo del valore originale – ad una velocità del 99,498%  la velocità della luce.
  Similmente, sempre per un osservatore esterno, quando la velocità del corpo è  l’87% della velocità della luce, la sua massa raddoppia rispetto alla massa a riposo così come raddoppia il tempo (la durata del fenomeno) mentre la lunghezza si contrae dimezzandosi.
  Ancora, il tempo si dilata di 1/Ö(1-(0,9998)2)= 50 volte se la velocità è il 99,98% di quella della luce. In effetti i muoni, particelle che si formano nella parte alta dell’atmosfera, tra i 30.000 e i 20.000 metri di altezza, a seguito del decadimento di particelle formatesi dalla collisione dei raggi cosmici con gli atomi dell’atmosfera, potrebbero percorrere, ad una velocità prossima a quella della luce e con una vita media inferiore ai 2 microsecondi, circa 600 metri (3*108 m/s*0,9998*2*10-8 s). Ma proprio perché viaggiano ad una velocità pari al 99,98% di quella della luce la loro vita ci appare, invece, più lunga di 50 volte permettendogli così di percorrere uno spazio anche superiore ai 30 chilometri per giungere fino alla superficie terrestre.
  È divertente verificare gli effetti della variazione della velocità sul tempo, sulla contrazione delle lunghezze e sull’aumento della massa con queste semplici formule. [3]
  Collegato direttamente alla teoria della relatività ristretta, perché usa lo stesso fattore di dilatazione caratteristico dei riferimenti in moto con velocità v (trasformazioni di Lorentz), ma pubblicato qualche mese dopo, è la relazione che lega massa e energia o, meglio, l’affermazione secondo la quale l’inerzia di un corpo dipende dal suo contenuto di energia: l’energia possiede una propria inerzia? [4]
  Se a un corpo immobile si cede energia senza alterare il suo stato di quiete la sua massa aumenta e, di contro, se si assorbe energia dal corpo la sua massa diminuisce. In termini più formali si afferma che se un corpo emette (o assorbe) energia E sottoforma di radiazione la sua massa diminuisce (o aumenta) di E/c2 e vale la relazione Δm =ΔE/c2. [5]
  Ma ciò significa che:

E =  mc2

  Si stabilisce dunque l’equivalenza tra massa ed energia – l’inerzia dell’energia – attraverso l’equazione probabilmente più famosa in tutta la storia della fisica.
  Noi siamo abituati a definire l’energia come attitudine al lavoro e la quantifichiamo attraverso una variazione, uno spostamento, nello spazio. In generale, se applichiamo una forza ad un corpo che subisce una variazione nella sua velocità, significa che esso è soggetto ad una accelerazione e se la forza applicata produce un modo uniformemente accelerato la forza può essere descritta come energia cinetica (secondo l’equazione ½ mv2). [6]
  Con apposita descrizione nel caso di velocità relativistiche e con una equazione che vale per tutti i corpi, indipendentemente dalla loro velocità, si ottiene:

E = mc2/Ö(1-(v2/c2)

  Posto come uguale a 1 la velocità della luce ed esprimendo v in funzione di essa la relazione si semplifica ulteriormente. [7]
  Ad esempio con una velocità pari all’87% della velocità della luce si ottiene:

E = mc2/Ö(1- 0,872)

  Con la massa espressa in kg e la velocità della luce in m/s l’energia risulta espressa in joule. Un corpo della massa di un grammo e tale velocità avrà una energia di poco inferiore a 1,82*1014 J.
  Possiamo ora chiederci quanta energia (quanto lavoro) serve per ottenere un aumento della massa variando la velocità del corpo. Imponendo una velocità del corpo uguale a quella della luce risulta necessaria una quantità infinita di lavoro (energia); con un valore della massa pari a zero il risultato dell’equazione sarà sempre zero indipendentemente dal valore della velocità mentre, di contro, inserendo un valore della velocità pari a zero, ma un qualsiasi valore per la massa otterremo sempre, come risultato, un valore molto alto.
  Ipotizzando dunque un corpo con velocità zero e una massa di 1 g il risultato è un valore di energia di 9*1013 J (0,001 kg * (3*108)2 che è superiore a tutta l’energia sviluppata con la bomba atomica di Hiroshima mentre, con un chilogrammo di materia, si coprirebbe il fabbisogno energetico mensile dell’Italia o, ancora, con 23.800 kg, l’equivalente della massa di 24 autovetture Fiat Panda, si potrebbe produrre tutta l’energia di cui l’umanità necessita dagli alimenti per sopravvivere nei prossimi 100 anni (considerando un fabbisogno energetico procapite di 2.000 kcal al giorno e una popolazione di 7 miliardi di persone). [8]  
  Più in generale, possiamo correlare massa ed energia distinguendo quattro casi. Se il corpo è fermo la sua energia sarà dettata completamente dalla sua massa; anche nel caso in cui il corpo ha una grande massa e una velocità ridotta (un uomo che corre, ma anche un aeroplano che vola) la sua energia è dovuta quasi esclusivamente alla sua massa mentre, nel caso in cui la massa del corpo sia infinitesimale e la sua velocità sia prossima a quella della luce l’energia sarà praticamente tutta dovuta alla sua velocità; nell’ultimo caso, in cui il corpo o, meglio, la particella, è privo/a di massa, come il fotone, sarà, proprio per questo, costretto/a a viaggiare alla velocità… della luce!




[1] La traduzione dell’articolo apparso ne Annalen der Physik è Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento.
[2] È chiaro che il rapporto v2 /c2 fa risultare impercettibile, per i nostri sensi, anche un aumento del tempo con velocità di 1.080 km/ora, che è solo lo 0,0001% della velocità della luce (che è circa 1,08 Miliardi km/ora).
[3] La reciprocità degli effetti della contrazione delle lunghezze e della dilatazione dei tempi per due osservatori l’uno in moto rettilineo uniforme rispetto l’altro sarà trattata nel post Il paradosso dei gemelli.
[4] La traduzione dell’articolo apparso ne Annalen der Physik è L’inerzia di un corpo dipende dal suo contenuto di energia?
[5] La massa di un corpo è una misura per il suo contenuto di energia; se varia l’energia varia anche la massa: la radiazione trasporta inerzia tra il corpo emittente e quello assorbe.
[6] Adeguando la formula a = F/m e E = ½ mv2 con la velocità della luce si ottiene a = (F/m)*(1-(v2/c2))3/2 e si dimostra che nulla può andare più veloce della luce perché quando v = c, a = 0:  una volta che si è raggiunta la velocità della luce non si guadagna più altra velocità nemmeno se continuiamo a fornire una ulteriore spinta al nostro oggetto! Anche la formula del lavoro L= ½ mv2  deve tenere in considerazione la velocità della luce diventando L = (mc2/√1-(v2/c2))-mc2; quando v = c, L = ∞. E se il lavoro contribuisce a dare al corpo più inerzia, allora l’inerzia deve contenere energia. Questa energia è descritta dalla formula E = (mc2/√1-(v2/c2). Poiché L = (mc2/√1-(v2/c2))-mc2, si ricava che E = L + mc2 e anche quando L = 0 il corpo avrà ancora un’energia pari a E = mc2!
[7] Usualmente si pone β = v/c e la formula diventa E = mc2/Ö(1- β2)
[8] Eseguendo i calcoli si ottiene un valore di 2,14*1021 joule o, equivalentemente, 5,12*1017 kcal. La fissione di un atomo dell’Uranio U-235 (235U), cioè il decadimento dello stesso in un atomo di Bario e di un atomo di Krypton,  produce una energia di 3,2*10-11 J. La fissione invece di un grammo di 235U produce una energia di 8*1010 J che è circa 1000 volte inferiore a quello che si avrebbe convertendo completamente un grammo di materia in energia (servirebbe cioè la fissione di 1 kg di uranio per produrre l’energia equivalente alla conversione  1 g di materia): ciò significa, sostanzialmente, che nel processo di fissione solo 1/1000 della massa iniziale si è trasformata in energia mentre il rimanente si ritrova nella massa dei prodotti finali di decadimento.   

mercoledì 26 luglio 2017

Riepilogando con... Excel

  Che ne dite dei post pubblicati? È un’avventura impossibile? Siete riusciti ad avvicinare i concetti di una fisica da fantascienza provando, almeno qualche volta, a calcolarne il risultato? Verifichiamo assieme la formula più difficile con le sole quattro operazioni aritmetiche conosciute (addizione, sottrazione, moltiplica-zione e divisione) aggiungendoci le frazioni e la notazione esponenziale; capisco che a prima vista potrebbe non sembrare così facile ma... cambierete idea: provare per credere!

   Prima di procedere facciamo però un veloce riepilogo.
  La fisica intesa come scienza della natura o, meglio, come filosofia della natura, fa parte della cultura di tutte le civiltà e l’uomo, attraverso l’osservazione empirica degli eventi, ha sempre cercato di dare risposte all’infinitamente grande e all’infinitamente piccolo.
  Grazie al metodo scientifico – cioè al legame indissolubile tra esperimento e ragione – , alla leggi sul moto e, soprattutto, alla legge della gravitazione universale si concepisce una fisica meccanica, fatta di movimento, attrito e urti.
  La scoperta dell’elettrone e del protone sembra concretizzare in chiave moderna l’antica ipotesi atomista dei filosofi greci che asseriva l’esistenza di una unità minima fondamentale: l’atomo.
  I primo trent’anni del secolo scorso sono stati definiti come trent’anni che sconvolsero la fisica.
  Se da un lato la radioattività non riesce a trovare una adeguata spiegazione nell’ambito della fisica classica dall’altro l’irraggiamento termico, l’effetto fotoelettrico e l’effetto Compton – in altre parole l’interazione delle onde elettromagnetiche con la materia – apre una ferita insanabile nell’ottimismo generale. E anche la stabilità atomica è messa in discussione dall’interazione elettromagnetica.
  Queste onde hanno poi un comportamento assai strano: pur avendo una velocità finita non rispettano la legge della composizione della velocità…
 Come possiamo familiarizzare con la formula dell'irraggiamento termico? 
 Costruiamo, in modo non proprio ortodosso ma efficace, un grafico che simuli l’andamento dell’emissione elettromagnetica di un corpo ad una data temperatura. Il risultato è quello che vedete qui sotto (cliccare sull'immagine per ingrandirla):


Vediamo in dettaglio le formule:


 Inseriamo, partendo dalla cella A1 fino alla cella A8, i seguenti valori/formule (evidenziati in giallo):

A1 = costante di Planck = 6,625*10^-34 (joule)
A2 = π = 3,14159
A3 = velocità della luce 300000000 (m/s)
A4 = costante di Boltzman 1,3806*10^-23 (joule/K)
A5 = numero di Eulero =2,71828
A6 = temperatura del corpo = 6000 (K)
A7 = la lunghezza d’onda = 2,5*10^-8 (m)
A8 = la lunghezza d’onda =+A7/10^-9 (nm)

Ora, nella cella A11, riportiamo il valore di A6; A11 = +A6 e in A12 riportiamo il valore di A11; A12 =+A11. Trasciniamo fino in A111 tale formula.

Similmente, nella cella B11, riportiamo il valore di A7; B11 = +A7 e in B12 riportiamo il valore di B11 al quale sommiamo l’incremento desiderato (per cambiare lunghezza d’onda che, in questo caso, è uguale alla lunghezza d’onda dalla quale siamo partiti; sarà necessario bloccare tale riferimento usando il carattere “$”); B12 =+B11+$A$7. Trasciniamo fino in B111 tale formula.

Continuiamo, con la cella C11, dove la lunghezza d’onda sarà trasformata da metri in nanometri, più pratici per i nostri... sensi; C11 = B10*10^9. Trasciniamo tale formula fino a C111.

In D11 scriviamo esattamente
=((8*$A$2*$A$1*($A$3^2)/B11^5))*(1/($A$5^(($A$1*$A$3)/(A11*B11*$A$4))-1))
Trasciniamo tale formula dalla cella D11 fino alla cella D111.

Selezioniamo i risultati dalla cella D11 fino alla cella D111. Nel menù selezioniamo Inserisci e poi Grafico a linee scegliamo il primo grafico a linee disponibile: ecco fatto il nostro grafico!


Consiglio di completare migliorando la visibilità del risultato modificando nel seguente modo la formula in D11: =(((8*$A$2*$A$1*($A$3^2)/B11^5))*(1/($A$5^(($A$1*$A$3)/(A11*B11*$A$4))-1)))/10^13/5

Trasciniamo tale formula dalla cella D11 fino alla cella D111. Cambiando il valore della temperatura nella cella  A6 il grafico si aggiornerà automaticamente su una scala con un valore relativo da 1 a 10.

Infine, se siete utilizzatori abituali di Excel e dei grafici non avrete difficoltà ad ottenere un grafico con spettri di emissione a diverse temperature.






sabato 22 luglio 2017

Una nuova fisica: la meccanica quantistica


 La spiegazione del meccanismo di emissione della radiazione elettroma-gnetica da parte dei corpi è risolta ipotizzando la quantizzazione dell’e-nergia; i processi legati all’irraggiamento termico sono chiariti in modo soddisfacente solo attraverso trasferimenti non continui, ma discreti, di energia.
 Conservando i risultati coerenti con le osservazioni sperimentali delle relazioni che legano rispettivamente l’emissione della massima energia ad una precisa lunghezza d’onda e la proporzionalità dell’intensità della radiazione emessa alla quarta potenza della temperatura l’ipotesi dei quanti di radiazione (M. Planck nel 1900), secondo la quale l’energia può essere acquistata o emessa dai sistemi solo come multiplo intero di una quantità discreta definita appunto quanto, rende magnificamente conto alle osservazioni sperimentali. Il fenomeno dell’irraggiamento è dovuto agli elettroni che possono emettere o assorbire energia unicamente in quantità proporzionale alla frequenza f secondo una costante h, la costante di Planck, pari a 6,62*10-34 joule per secondo [1], che lega dunque l’energia di un quanto di radiazione alla sua frequenza:

E = h f

Oppure:
E = hc/l

  L’energia di un fotone dei raggi X risulta così essere 50.000 volte superiore a quella di un fotone della luce visibile giacché la sua frequenza è 50.000 volte superiore.[2]
  A temperatura costante l’intensità della radiazione emessa da un corpo aumenta rapidamente fino a un valore massimo per poi decrescere più lentamente. [3]
  Il legame h f spiega anche un’altra questione ancora aperta da tempo. Era già noto alla fine dell’800 che la superficie di un metallo irradiata con raggi ultravioletti emette elettroni (H.R. Hertz, 1887; W.L.F. Hallwachs, 1888; P.E.A. von Lenard, 1899). [4]
  Ciò significa che l’energia della luce si è in parte trasformata nell’energia cinetica degli elettroni espulsi dal metallo dando luogo al cosiddetto effetto fotoelettrico. E, contrariamente a quanto si potrebbe ipotizzare, all’aumentare dell’intensità della radiazione non coincide una maggior energia degli elettroni, ma solo un loro maggior emissione in termini di numero. In effetti, se la luce fosse un’onda la forza di espulsione degli elettroni dal metallo dovrebbe dipendere dalla sua intensità e non dalla sua frequenza mentre, di contro, quello che aumenta la velocità degli elettroni emessi è proprio la frequenza della radiazione incidente. La luce blu conferisce maggior velocità agli elettroni rispetto, ad esempio, alla luce gialla. Una debole intensità della luce blu causa una minor emissione nel numero di elettroni rispetto ad una luce molto intensa di colore giallo, ma la loro velocità è sempre superiore. La luce rossa, poi, non provoca, in alcuni metalli, l’emissione di elettroni. Per ogni metallo esiste una frequenza di soglia al di sotto della quale l’effetto fotoelettrico non ha luogo (per il potassio, ad esempio, la luce rossa non consente l’emissione di elettroni e la frequenza di soglia è nel verde). Se, invece, la frequenza è maggiore della frequenza di soglia, la velocità degli elettroni emessi aumenta proporzionalmente alla differenza tra la frequenza della radiazione incidente e la frequenza di soglia.
  La descrizione ondulatoria della luce non riesce a dare una spiegazione soddisfacente all’effetto fotoelettrico. Perché, ad una radiazione più intensa, non corrisponde una maggior energia cinetica degli elettroni emessi? Quale legame esiste cioè tra frequenza della radiazione incidente e l’energia degli elettroni?
  L’effetto fotoelettrico può essere spiegato ammettendo che la luce sia composta da grani di energia E = hf  (A. Einstein, 1905): sì, proprio gli stessi quanti di luce che spiegano la radiazione del corpo nero. Se la luce si propaga attraverso grani di energia, definiti successivamente fotoni (G. Lewis, 1926; V Congresso Solvay, 1927), gli elettroni del metallo o assorbono esattamente un fotone, sufficiente a superare l’energia di soglia per essere così espulsi, oppure è inutile aumentare l’intensità della radiazione incidente perché si aumenta il numero di fotoni inviati al metallo, ma non la loro energia. Se, viceversa, si supera la frequenza di soglia, il numero di elettroni emessi sarà tanto maggiore quanto più intensa è la radiazione incidente. E aumentando ancora la frequenza della radiazione incidente aumenterà ulteriormente l’energia degli elettroni emessi.
  L’unità hf, introdotta inizialmente per rendere conto allo spettro di emissione del corpo nero, non è allora un mero artificio di calcolo perché trova nell’effetto fotoelettrico, cioè nella teoria quantistica della luce, un significato fisico più preciso: la luce ha un comportamento tipico dei corpuscoli! Questo aspetto è definitivamente confermato dall’effetto Compton (A.H. Compton, 1923) che si manifesta quando un fascio monocromatico di raggi X con una determinata frequenza (e, a maggior ragione, di raggi g) colpisce della grafite e viene, in parte, diffuso con una lunghezza d’onda maggiore rispetto a quella incidente.
  Se la luce fosse considerata un fenomeno esclusivamente ondulatorio l’onda che colpisce la grafite dovrebbe avere la stessa frequenza dell’onda diffusa ma, di contro, nelle rilevazioni sperimentali è possibile osservare due distinti picchi corrispondenti sia alla lunghezza d’onda originaria sia a una lunghezza d’onda maggiore. Solo assegnando al fotone anche un impulso (una quantità di moto), pensando cioè alla radiazione come ad un fenomeno corpuscolare, si spiega la diffusione dei raggi X con una la variazione della loro lunghezza d’onda, dovuta alla cessione di energia nella collisione con elettroni. Il fenomeno può essere così spiegato perché la radiazione, composta da fotoni, si comporta proprio come una particella e, quando il fotone colpisce un elettrone degli atomi della grafite, produce un urto elastico che obbedisce al principio di conservazione dell’energia e della quantità di moto. Nell’urto, il fotone devia dalla direzione originale secondo un certo angolo cedendo parte della sua energia all’elettrone che inizia a muoversi nella direzione opposta. E proprio perché il fotone lascia parte della sua energia all’elettrone, dovrà essere diffuso con una lunghezza d’onda maggiore di quella incidente (esattamente come rilevato sperimentalmente) giacché la sua energia è inversamente proporzionale alla sua lunghezza d’onda.
  In conclusione, è considerando il dualismo onda-corpuscolo della radiazione elettromagnetica che si spiegano i fenomeni legati alla sua interazione con la materia.



[1] Per quantificare l’energia è possibile utilizzare come unità di misura il joule (J). Più in specifico il joule è l’unità di misura dell’energia, del lavoro e del calore con dimensione kg*m2/s2. Un joule è il lavoro svolto esercitando la forza di un Newton per una distanza di un metro (1 N*m; è cioè il lavoro compiuto da 1 Newton quando il suo punto di applicazione si sposta di 1 m nella direzione e nel verso della forza stessa; un Newton è la forza che imprime un’accelerazione di 1 m/s2 alla massa di 1 kg cioè l’energia necessaria per spostare di 1 metro il punto di applicazione di una forza ovvero
un joule è il lavoro richiesto per sollevare una massa di 102 g per un metro, opponendosi alla forza di gravità terrestre. Un joule è anche il lavoro necessario per erogare la potenza di un watt per un secondo, (=1 W*s).
Poiché il lavoro di una forza, che si esprime in joule, aumenta l’energia cinetica del corpo al quale è applicata, anche l’energia cinetica può essere espressa in joule. È facile calcolare l’energia cinetica dei corpi se esprimiamo la loro massa in kg e la loro velocità in m/s. Un joule equivale all’energia cinetica (½mv2) di un sasso della massa di 0,5 kg che viaggia alla velocità di 2 m/s (la velocità alla quale cammina normalmente un uomo) ovvero una massa di 1 kg con velocità di 1 m/s esprime una energia cinetica di 0,5 J. Similmente, un corpo di 1 kg che si muove alla velocità di 3 m/s ha un’energia cinetica (½mv2) di ½*1*32 cioè 4,5 joule; similmente un corpo con massa 10 kg che si muove con una velocità di 1 m/s ha un’energia cinetica di 5 joule mentre un sasso con massa di 0,100 kg che viaggia alla velocità di 10 m/s oppure l’energia di un corpo con massa di 1 kg che viaggia ad una velocità di 1,42 m/s hanno un’energia cinetica di 1 joule.
[2] La frequenza dei raggi X è di 3*1019 Hz con una energia di 1,9875*10-14 J  mentre la luce visibile ha una frequenza di 6*1014 Hz e l’energia di un fotone è di 3,975*10-19 J.
[3] L’equazione dell’irraggiamento termico è descritta dalla relazione (8phc25)*(1/(ehc/λkT -1)) dove e rappresenta il numero di Eulero uguale a 2,71828..., k è la costante di Boltzmann pari a  1,38*10-23 JK-1, T  la temperatura del corpo espressa in gradi kelvin, λ è la lunghezza d’onda della radiazione e h la costante di Planck. La formula è stata qui riportata perché ha segnato la nascita di una nuova fisica, la meccanica quantistica, ma anche per dare la possibilità di costruire con Excel un grafico dell’andamento dell’emissione.
[4] Una placca di zinco bombardata con radiazione ultravioletta si caricava cioè elettricamente.

giovedì 20 luglio 2017

L'irraggiamento termico

 Continuiamo la nostra avventura partendo dal problema dell'irraggia-mento termico. All'inizio del XX secolo la fisica classica non era in grado di prevedere correttamente lo spettro di emissione di un corpo.
 Per la misura dei valori della temperatura si usa spesso far riferimento alla scala termometrica assoluta o scala kelvin (K).
  Il valore di zero della scala kelvin corrisponde allo zero assoluto, -273,15 °C, temperatura alla quale si credeva nulla l’agitazione termica delle molecole (seguirà un post su questo argomento). Per passare dai gradi centigradi a quelli kelvin è sufficiente sommare il numero 273,15 mentre, di contro, per passare dai gradi kelvin ai gradi centigradi basta sottrarlo.[1] 
  In ogni caso, tutti i corpi fisici con una temperatura superiore allo zero assoluto emettono continuamente energia attraverso radiazioni elettromagnetiche. Più precisamente, per emettere energia, il corpo la deve prima assorbire e ciò significa che è in equilibrio termodinamico con l’ambiente circostante. In effetti, ogni corpo assorbe la stessa radiazione che è in grado di emettere (G.R. Kirchoff, 1859).
  Già a temperatura ambiente gli oggetti perdono una quantità importante di energia attraverso la radiazione termica soprattutto nello spettro degli infrarossi e, spesso, tale energia è recuperata assorbendo calore dall’ambiente circostante.
  Un tubo di ferro scaldato ad una temperatura inferiore ai 550 K (circa 277 °C) non emette luce visibile ma raggi infrarossi che possiamo comunque percepire (se lo tocchiamo ci scottiamo); attorno ai 750 K (477 °C) distinguiamo un debole colore rosso bruno che diventa rosso cupo (a 950 K, 677 °C), successivamente rosso arancio e, a 1.550 K (1.277 °C), giallo/bianco. [2]
  È dunque intuibile il fatto che lo spettro di emissione di un corpo varia in funzione della temperatura spostandosi verso lunghezze d’onda tanto più brevi quanto più è alta la temperatura. La luce, infatti, cambia colore – cambia frequenza – all’innalzarsi della temperatura.
  Il rapporto tra l’energia assorbita dal corpo e l’energia totale incidente definisce un parametro adimensionale che rappresenta il potere assorbente del corpo. Quando il corpo assorbe tutta la radiazione incidente si dice corpo nero.[3]
  È stato dimostrato che per un corpo in equilibrio termodinamico, per un corpo cioè che assorbe ed emette la stessa quantità di energia non alterando la propria temperatura, il rapporto tra energia emessa e potere assorbente è una funzione universale, indipendente dalla natura del corpo, legata esclusivamente alla sua temperatura e alla frequenza della radiazione emessa. Poiché, per definizione, un corpo nero assorbe tutta l’energia incidente, il suo potere emissivo è allora solo in funzione della sua temperatura. [4]
  Si può allora definire il potere emissivo di un corpo fisico come la quantità di energia emessa sotto forma di radiazione elettromagnetica ad una data temperatura.
  Ma come varia l’intensità e lo spettro della radiazione emessa in funzione della temperatura? Il numero di fotoni emessi (in un dato volume) è proporzionale al cubo della temperatura mentre l’energia media di un fotone è proporzionale alla temperatura; la densità di energia; l’intensità della radiazione sarà allora data dal prodotto tra il numero di fotoni nell’unità di volume e l’energia media per fotone; cioè uguale alla quarta potenza della temperatura assoluta (J. Stefan, 1879; L. Boltzmann, 1884).[5]
   Le curve sperimentali del potere emissivo del corpo nero a diverse temperature permettono di ricavare una particolare legge che indica come costante, e più precisamente come uguale a 0,002898 mK, il prodotto della temperatura per la massima lunghezza d’onda emessa (W. Wien, 1893). Alla temperatura di 1 K,  la massima emissione si ha con onde elettromagnetiche della lunghezza di 0,002898 m. In pratica, se si divide il valore di 0,002898 m per la temperatura del corpo (espressa in gradi kelvin), si ottiene la lunghezza d’onda (in metri) della massima emissione. [6]
  Una lampada a incandescenza, con una temperatura di circa 3.000 K avrà un massimo di emissione attorno a 9,9*10-7 m (per noi invisibile) ma emetterà, in parte, anche nella zona tra 4,0 *10-7 e 7,0 *10-7 m a noi accessibile. Una temperatura di 6.000 K, sostanzialmente la temperatura superficiale del sole, ha il suo massimo di emissione intorno ai 4,8*10-7 m (0,002898 m/6.000 K), cioè nella luce visibile. [7]
  Per ottenere una la luce bianca, composta da tutti i colori dell’arcobaleno, si deve avere una temperatura di 1.450 K; con questa temperatura i corpi emettono una radiazione che, partendo dalla zona dell’ultra-violetto, cresce velocemente fino a un massimo di una lunghezza d’onda corrispondente a 2*10-6 m, per poi decrescere, più lentamente, fino nella zona al colore rosso del visibile.

La distribuzione della densità dell’energia raggiante, nella gamma delle frequenze emesse dal corpo nero a ogni diversa temperatura, ha sempre una distribuzione a forma di campana (che bene si evidenzia con una temperatura di 6.000 K); che non è però perfettamente simmetrica. La curva mostra una crescita più rapida nella lunghezza d’onda più corta e un declino più dolce in quelle più lunga con un valore finito dell’area racchiusa sotto la campana.
  I dati sperimentali non furono però subito descritti da un adeguato formalismo matematico, col paradosso di arrivare a quella che fu ironicamente e folcloristicamente definita la catastrofe ultravioletta poiché, nella descrizione originale, al crescere della temperatura aumentava esponenzialmente la frequenza della radiazione emessa (dovuta convinzione di uno scambio continuo di energia a qualsiasi lunghezza d’onda) così che, alle temperature delle normali stufe di casa, avremmo già dovuto preoccuparci per l’eccessiva emissione di raggi ultra-violetti!




[1] Nella scala kelvin il ghiaccio fonde a +273,15 °C e l’acqua bolle a +373,15 °C mentre, nella scala celsius, divisa in gradi centigradi, il ghiaccio fonde a 0 °C e l’acqua evapora a 100 °C alla pressione di una atmosfera.
[2] Il massimo dell’emissione è comunque a una lunghezza d’onda di circa 2*10-6. A basse temperature l’emissione del colore percepito (rosso) corrisponde al colore della componente spettrale; quando lo spettro si arricchisce di emissione di lunghezza d’onda minore (dal giallo al verde fino al violetto) il colore della luce percepita tende al bianco. Si deve anche rilevare come la quantità di energia radiante infrarossa sia sempre molto maggiore di quella visibile.
[3] La miglior approssimazione di un corpo nero si ha con il carbonio, sotto forma di grafite, che riflette solo il 3% dell’energia incidente.
[4] Tutti i corpi diventano color “rosso rovente” alla stessa temperatura (T. Wedgwood, 1792).
[5] Naturalmente moltiplicata per  la costante di Stefan-Boltzmann  pari a 5,6697*10-8 joule/m2*s*K. Ciò significa che, se vogliamo un calcolo più approssimativo, raddoppiando la temperatura del corpo l’intensità della radiazione aumenta 32 volte (2*24) e, triplicando la temperatura del corpo, l’intensità aumenta 243 volte (3*34).
[6] Per ottenere il risultato espresso come frequenza si moltiplica il valore della temperatura per il  numero 1,0352*1011
[7] Il sole ci appare di colore giallo perché la nostra atmosfera disperde le radiazioni nelle lunghezze d’onda del blu e del viola lasciando passare quelle di colore giallo (e il cielo diurno è dunque di colore azzurro).